07/01/12

Lo Schiaccianoci (balletto) - (Pëtr Il'ič Čajkovskij)




Pëtr Il'ič Čajkovskij




Lo Schiaccianoci (Ščelkunčik), è un balletto con musiche di Pëtr Il'ič Čajkovskij (op. 71), il quale seguì minuziosamente le indicazioni del coreografo Marius Petipa e, in seguito, quelle del suo successore Lev Ivanov.

Il balletto fu commissionato dal direttore dei Teatri Imperiali Russi, Ivan Aleksandrovič Vsevoložskij.

La storia deriva dal racconto Schiaccianoci e il re dei topi di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1816).


Storia del balletto 



Olga Preobrajnskaya e Nikolaj Legat in Lo Schiaccianoci (circa 1900).




Pëtr Il'ič Čajkovskij compose le musiche del balletto tra il 1891 e il 1892.
La prima rappresentazione, che si tenne insieme alla prima dell'opera Iolanta dello stesso Čajkovskij, ebbe luogo il 18 dicembre 1892 presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, Russia. Fu condotta interamente dal compositore italiano Riccardo Drigo e coreografata dal ballerino russo Lev Ivanov: questa esecuzione tuttavia non riscosse successo[1].

Tra gli interpreti di questa prima esecuzione spiccano l'italiana Antonietta Dell'Era, nel ruolo della Fata Confetto, il russo Pavel Gerdt, Olga Preobrajenska e il giovane Nicolaj Legat. Da ricordare che il ruolo di Clara era interpretato da una bambina della scuola di ballo del teatro Teatro Mariinskij.


La suite, estremamente popolare in sede concertistica, fu realizzata nell'agosto 1892 dal musicista stesso, che a differenza degli altri due propri balletti, per i quali non era convinto a creare una "Suite", lo fece su invito come "anteprima" della prossima realizzazione , addirittura quando non era stata ancora iniziata l'orchestrazione integrale del balletto (i primi numeri furono proprio quelli della "Suite")[2]. La diresse personalmente a San Pietroburgo il 7 marzo 1892 (ovvero il 19, data occidentale), con un esito trionfale (vi furono bis). La "Suite" (op.71a) dura una ventina di minuti, utilizzando lo stesso organico dell'opera ballettistica [3].

Del tutto inesatta è l'informazione per cui il compositore avrebbe scritto una seconda "Suite". Esiste invece la consuetudine, in sede discografica soprattutto, di alterare con integrazioni attinte dal balletto completo, la struttura della "Suite" così come pensato da Čajkovskj[4].

Una novità in quest'opera è la presenza di uno strumento che fu visto dal compositore a Parigi: la celesta. Čajkovskij lo volle assolutamente inserire nell'organico strumentale e lo aggiunse in alcuni passaggi del secondo atto: Scene iniziali, Passo a due (Danza della Fata Confetto) e Apoteosi con associazione al personaggio della Fata. Lo strumento venne usato da Čajkovskij anche nel proprio poema sinfonico contemporaneo al balletto Voevoda op. 78 postuma . Prima di lui, in assoluto, Charles-Marie Widor nel 1880. Il nostro musicista temeva che i suoi "rivali" russi potessero precederlo nell'utilizzo dello strumento.





Alcune versioni diverse


Dopo la prima esecuzione di Ivanov vanno ricordate quelle riviste da Gorskij nel 1917 e da Lopukhov nel 1929.

Nel 1934 al Mariinsky (Kirov) Ballet and Opera theatre venne inscenata l'edizione di Vassilij Vajnonen (il ruolo di Clara veniva a coincidere con quello della Fata Confetto) e sempre nello stesso anno ci fu il debutto europeo del balletto, in mese Giugno al Sadler's Wells di Londra, riprendendo la coreografia di Ivanov.

In Italia arrivò solamente quattro anni dopo la prima rappresentazione, nel 1938, alla Scala di Milano, con la coreografia a cura di Margherita Froman.

Gli anni successivi videro numerose versioni differenti del balletto, tra le quali quelle di Boris Romanov, Frederick Ashton e quelle di Nicholas Beriozoff. La rivisitazione più particolare fu quella di George Balanchine che nel 1954 decise di dividere il balletto in due parti, seguendo la trama originale: la realtà e il sogno. Questa versione fu poi rappresentata dal New York City Ballet.

Lo Schiaccianoci moderno 


Lo Schiaccianoci è stato ripreso più volte dal cinema, dal teatro e anche dallo sport, soprattutto le sue musiche e la sua trama.

Un esempio cinematografico è il film Fantasia della Disney, in cui fate, funghi, pesci, fiori, cardi e orchidee danzano al ritmo delle note della suite dello Schiaccianoci.

Ad ogni modo, la partitura musicale di Čajkovskij è stata riproposta fedelmente. Questo non è accaduto però in molte rappresentazioni allestite di recente. Il balletto originale infatti dura solamente novanta minuti, quindi è più breve rispetto al Lago dei cigni o a La bella addormentata. In queste rappresentazioni i compositori omettono brani, li riordinano o addirittura aggiungono brani tratti da altre opere.
Nel 1983 infatti, ne Lo Schiaccianoci: fantasia su ghiaccio, un adattamento televisivo per uno spettacolo di pattinaggio su ghiaccio, le musiche originali sono state riordinate secondo un'altra scaletta e sono state aggiunte poi musiche di un altro compositore russo, Mikhail Ippolitov-Ivanov.




Emissione filatelica russa
dedicata a Lo Schiaccianoci.



L'attuale popolarità de Lo Schiaccianoci è in parte dovuta a Willam Christensen, fondatore della compagnia San Francisco Ballet, che importò il lavoro negli Stati Uniti nel 1944. Il successo del balletto e la coreografia di George Balanchine per la sua prima rappresentazione nel 1954 creò una vera e propria tradizione invernale nelle rappresentazioni dell'opera negli Stati Uniti.

Un film ungherese-britannico in lingua inglese del 2010, è stato firmato dal regista russo Andrej Sergeevič Michalkov-Končalovskij, intitolato Lo Schiaccianoci in 3D (tit. orig. The Nutcracker in 3D). Si tratta di un "fantasy" che utilizza sia la musica del balletto, sia altre composizioni di Čajkovskij (come la Quinta Sinfonia), per gli arrangiamenti di Eduard Artemiev e Tim Rice (canzoni).Il film ha ricevuto grandi critiche negative all'estero [5] ed addirittura un Premio per Peggior uso del 3D nella 31ma edizione 2010 del Razzie Awards 2010, svoltasi il 26 febbraio 2011, che ad Hollywood premia i peggiori film dell'anno. In Italia è uscito il 2 dicembre 2011.




SCHIACCIANOCI - VALZER DEI FIORI : 

............. - TREPAK (DANZA RUSSA): .............. - VALZER DEI FIOCCHI DI NEVE :

Il passero solitario - (G. Leopardi)



Il passero solitario è una poesia di Giacomo Leopardi.

La genesi lunga di questa lirica la rende “anomala” rispetto agli altri Grandi Idilli, poiché è sì strutturata sui canoni di queste composizioni, ma l’idea del passero viene a Leopardi in età giovanile (tra il 1819 ed il 1820), annotata nelle pagine dello Zibaldone. Tuttavia la composizione deve essere posteriore rispetto a quella dei grandi idilli, dato che il canto non compare ancora nell’edizione fiorentina del 1831, bensì in quella napoletana del 1835. Probabilmente la collocazione in testa ai primi idilli può essere spiegata in base alla tematica, che è vicina a quella giovanile (la propria infelicità, contrapposta a quella degli altri giovani), rievocata nel presente ricavandola con la memoria (cf. A Silvia).

Analisi 


Il passero che Leopardi vede sulla torre campanaria di Recanati richiama al poeta un'identificazione malinconica tra l’uccello e se stesso, che però risulta epidermica, parziale: entrambi sono esseri soli. Va specificato che, contrariamente a ciò che ritengono in molti, l'uccello cui si riferisce il poeta non può certo essere il passero comune, ma proprio una specie chiamata passero solitario (Monticola solitarius), una sorta di merlo dai colori bluastri, dotata di un bellissimo canto melodioso, che usa vivere proprio sui vecchi palazzi delle città. D'altra parte, il passero comune non canta affatto bene e risulterebbe assai strano che Leopardi immaginasse un monotono cip cip come un'armonia che erra nella valle.

Leopardi, uomo di grande cultura, conosceva senz'altro bene questa specie bellissima.
Tutto questo non fa che rendere ancor più bella la similitudine fra il poeta e l'uccello solitario. Leopardi è solo, a causa della situazione di dolore esistenziale in cui versa. Dolore che il passero solitario, animale, non percepisce e dunque non può provare, sentendosi sempre felice.


La prima strofa (vv. 1-16) è incentrata sulla descrizione del piccolo uccello. Si può suddividere in tre piccole sezioni. La prima (vv. 1-5) presenta il passero nella sua solitaria contemplazione della valle recanatese che si stende ai piedi della torre. I versi dal 5 all’11 intendono illustrare, secondo una terminologia richiamante al caro imaginar (cfr. Le Ricordanze, v.89), il paesaggio in cui si configura la riflessiva digressione poetica sul passero. La terza ed ultima parte (vv.11-17), invece, si concentra sull’analisi della pensosa solitudine del piccolo animale che, evitando i divertimenti e le attività dei suoi simili, preferisce allontanarsi dalla torre e volare via.


La seconda strofa (vv. 17-44), è incentrata sulla figura del poeta in un'alternanza di focalizzazioni dal passero a Leopardi. Si compone di una tripartizione speculare alla prima strofa, che questa volta è dedicata alla figura del poeta. In una sorta di analogia comparata con la situazione del passero, introdotta grazie al termine "somiglia", Leopardi nell’esordio (vv. 17-26) si paragona e, dopo aver constatato la propria solitudine rispetto agli altri esseri umani che è cagione di malinconia e dolore, lo sguardo del poeta, chiuso nel suo palazzo, si volge al borgo recanatese in festa, dove giovani corrono per le strade a celebrare le ricorrenze, tra suoni e colori, in una vaga rimembranza di felicità (Vv. 32-35). Infine, al pari del passero, Leopardi decide di allontanarsi da quell’aria di divertimento così aliena: egli è schivo di fronte ai divertimenti effimeri della vita. Prende infatti la via verso una meta indefinita e remota nella campagna attorno a Recanati (Vv. 36-44).


Con la strofa finale ritorna l'immagine del passero (vv.45-59), più corta delle precedenti. Leopardi si rivolge al piccolo animale, con una sorta di nostalgica invidia: il passero, difatti, pur avendo anche lui innata la sofferenza, non la percepisce, e pertanto rimane nella sua illusoria condizione di felicità (Vv. 45-49). Il raffronto con la condizione del poeta è il passo successivo e finale, coi canoni tipici dell'arido vero: malinconia e infelicità, la terribile ombra della vecchiaia che toglierà ogni senso al miserando vagare sulla terra che è l’esistenza dell’uomo (vv. 50-59).

06/01/12

Cavalleria rusticana (opera) : Addio alla madre - (P. Mascagni)


  

Cavalleria rusticana (opera)


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Cavalleria rusticana
Locandina-Cavalleria rusticana-Zanetto.png
Una locandina di "Cavalleria rusticana" e "Zanetto"
Genere: opera lirica
Musica: Pietro Mascagni
Libretto: Giovanni Targioni-Tozzetti
Guido Menasci
(Libretto online)
Fonti letterarie: dal dramma omonimo
di Giovanni Verga
Atti: uno
Prima rappresentazione: 17 maggio 1890
Teatro: Teatro Costanzi, Roma


Personaggi:
Cavalleria rusticana è un'opera in un unico atto di Pietro Mascagni, andata in scena per la prima volta il 17 maggio 1890 al Teatro Costanzi di Roma, su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, tratto dalla novella omonima di Giovanni Verga.

Viene spesso rappresentata a teatro, o incisa su disco, insieme a un'altra opera breve, Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Iniziatore di questo singolare abbinamento fu lo stesso Pietro Mascagni, che nel 1926, al Teatro alla Scala di Milano, diresse, nella stessa soirée, entrambe le opere. In passato la Cavalleria rusticana veniva talvolta eseguita insieme a Zanetto, opera dello stesso compositore.



Breve storia della Cavalleria rusticana 


Cavalleria rusticana fu la prima opera composta da Mascagni (anche se Pinotta, rappresentata per la prima volta solo nel 1932, fu scritta antecedentemente, così come parte di Guglielmo Ratcliff, dato nel 1895) ed e certamente la più nota fra le sedici composte dal compositore livornese (oltre a Cavalleria rusticana, solo Iris e L'amico Fritz sono rimaste nel repertorio stabile dei principali enti lirici). Il suo successo fu enorme già dalla prima volta in cui venne rappresentata al Teatro Costanzi di Roma, il 17 maggio 1890, e tale è rimasto fino a oggi. Basti pensare che ai tempi della morte di Mascagni, avvenuta nel 1945, l'opera era già stata rappresentata più di quattordicimila volte solo in Italia.[1]

Nel 1888 l'editore milanese Edoardo Sonzogno annunciò un concorso aperto a tutti i giovani compositori italiani che non avevano ancora fatto rappresentare una loro opera. I partecipanti dovevano scrivere un'opera in un unico atto, e le tre migliori produzioni (selezionate da una giuria composta da cinque importanti musicisti e critici italiani) sarebbero state rappresentate a Roma a spese dello stesso Sonzogno.

Mascagni, che all'epoca risiedeva a Cerignola, in provincia di Foggia, dove dirigeva la locale banda musicale, venne a conoscenza di questo concorso solo due mesi prima della chiusura delle iscrizioni e chiese al suo amico Giovanni Targioni-Tozzetti, poeta e professore di letteratura all'Accademia Navale di Livorno, di scrivere un libretto. Targioni-Tozzetti scelse Cavalleria rusticana, una novella popolare di Giovanni Verga come base per l'opera. Egli e il suo collega Guido Menasci lavoravano per corrispondenza con Mascagni, mandandogli i versi su delle cartoline. L'opera fu completata l'ultimo giorno valido per l'iscrizione al concorso. In tutto, furono esaminate settantatré opere e il 5 marzo 1890 la giuria selezionò le tre opere da rappresentare a Roma: Labilia di Nicola Spinelli, Rudello di Vincenzo Ferroni, e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni.[2]




Pietro Mascagni

La prima rappresentazione di Cavalleria rusticana fu, come già accennato, un successo inaudito, con Mascagni che venne richiamato sul palco dagli applausi del pubblico per quattro volte, e vinse il Primo Premio del concorso.[3] In quello stesso anno, in séguito al tutto esaurito delle repliche al Teatro Costanzi, l'opera fu rappresentata in tutta Italia, oltre che a Berlino, a Budapest e a Londra (allo Shaftesbury Theatre nell'ottobre 1891 e al Royal Opera House nel maggio 1892).[4]

Cavalleria rusticana ebbe il suo debutto in America a Philadelphia al Grand Opera House il 9 settembre 1891, seguito da Chicago il 30 settembre 1891. Curioso il caso del debutto dell'opera a New York, avvenuto il 1º ottobre 1891: nello stesso giorno due compagnie diverse rappresentarono Cavalleria rusticana, una di pomeriggio al Casino, diretta da Rudolph Aronson, l'altra di sera al Lenox Lyceum diretta da Oscar Hammerstein.[4]

L'opera fu data per la prima volta al Metropolitan Opera il 30 dicembre 1891 assieme a un frammento dell'Orfeo ed Euridice di Gluck e da quel giorno fu poi rappresentata 652 volte nel teatro newyorkese.[5]

Nel 1907 nell'ambito di un altro concorso presieduto da Sonzogno, Domenico Monleone presentò un'opera basata sulla stessa storia di Verga similmente chiamata Cavalleria rusticana. L'opera non ebbe successo nel concorso, ma fu rappresentata più tardi ad Amsterdam, dando via ad un tour in Europa, avente come data finale Torino. Sonzogno, volendo proteggere il guadagno che era scaturito dalla versione di Mascagni, mosse un'azione legale e successivamente l'opera di Monleone venne censurata in Italia.[6]

Trama


Immagine esterna
Scenografia di "Cavalleria rusticana"
fonte: tricitiesopera.com
La scena si svolge in un paese siciliano (ispirato a Vizzini) durante il giorno di Pasqua. Ancora a sipario calato, si sente Turiddu, il tenore, cantare una serenata a Lola, sua promessa sposa che durante il servizio militare di Turiddu ha però sposato Alfio. La scena si riempie di paesani e paesane in festa, giunge anche Santa, detta Santuzza, attuale fidanzata di Turiddu, che non si sente di entrare in chiesa sentendosi in grave peccato. Entra allora in casa di mamma Lucia, madre di Turiddu, chiedendole notizie del figlio.

Lucia dice a Santuzza che Turiddu è andato a Francofonte a comprare il vino, ma Santa sostiene di aver visto Turiddu che si aggirava sotto la casa di Lola. Lucia chiede allora a Santa di entrare in casa, infatti ha paura che qualcuno la possa ascoltare, ma quest'ultima si rifiuta perché si sente disonorata. La notizia arriva anche ad Alfio, che ignaro di tutto va a trovare Lucia. A questo punto Santuzza svela a Lucia la relazione tra Turiddu e Lola. Egli ormai l'ha disonorata per ripicca contro Lola, alla quale prima di andare soldato aveva giurato fedeltà eterna, e che ora continua a frequentare sebbene sia sposata. Giunge dunque Turiddu che discute animatamente con Santa; interviene anche Lola che sta per recarsi in chiesa, e le due donne si scambiano battute ironiche.

Turiddu segue Lola, che è sola perché il marito lavora. Santuzza augura a Turiddu la malapasqua e, vedendo arrivare Alfio, gli denuncia la tresca amorosa della moglie. Dopo la messa, Turiddu offre vino a tutti i paesani per stare più tempo con Lola. Alfio entra nella piccola bottega e getta il bicchiere di vino in faccia a Turiddu il quale gli morde l'orecchio sfidandolo a duello. Turiddu corre a salutare la madre e ubriaco, le dice addio e le affida Santuzza.
Subito dopo si sente un vociare di donne e popolani. Un urlo sovrasta gli altri: "Hanno ammazzato compare Turiddu!".

Suite per orchestra di varietà - (Dmitrij Dmitrievič Šostakovič)

Dmitrij Dmitrievič Šostakovič

  Suite per orchestra di varietà :


Berliner Philharmoniker
Riccardo Chailly, direttore




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Suite per orchestra di varietà
Compositore Dmitrij Dmitrievič Šostakovič
Epoca di composizione 1938?
Prima esecuzione Mosca, 20 settembre 1938. Direttore: Viktor Knushevitsky
Organico Archi: violini, viole, violoncelli, contrabbassi
Legni: 2 flauti (anche ottavino), oboe, 4 clarinetti, fagotto, 2 sassofoni contralti, 2 sassofoni tenori (primo anche sax soprano)
Ottoni: 3 trombe, 3 trombone, 4 corni, tuba
Percussioni: timpani, triangolo, tamburello basco, rullante, grancassa, piatti, glockenspiel, xilofono, vibrafono,celesta
Cordofoni: 2 pianoforti, chitarra
Aereofoni: fisarmonica
Movimenti
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La Suite per orchestra di varietà è una suite composta da Dmitrij Dmitrievič Šostakovič nel 1938, ed è articolata in otto movimenti, per lo più provenienti da altre opere del compositore.

Per molti anni la Suite per orchestra di varietà è stata erroneamente identificata con la Suite per orchestra jazz n. 2 (1938), una composizione diversa, strutturata in tre movimenti, andata perduta durante la seconda guerra mondiale, la cui riduzione per pianoforte fu riscoperta nel 1999 da Manashir Yakubov e orchestrata l'anno seguente da Gerard McBurney.



Movimenti 


Stando a una nota dell'autore, i singoli movimenti della suite possono essere suonati a piacere, sia per quanto riguarda il loro numero che la loro successione. L'ordine dato agli otto movimenti nella serie New Collected Works dall'editore DSCH è il seguente:

  1. Marcia
  2. Danza n. 1
  3. Danza n. 2
  4. Piccola polka
  5. Valzer lirico (in Do minore e Mi bemolle maggiore)
  6. Valzer n. 1 (in Si bemolle maggiore e La maggiore)
  7. Valzer n. 2 (in Do minore e Mi bemolle maggiore)
  8. Finale

Origine dell'opera 


La Suite fu eseguita per la prima volta in un Paese occidentale il 1º dicembre 1988 nella Barbican Hall di Londra, sotto la direzione di Mstislav Rostropovich, con il titolo di Suite per orchestra jazz n. 2.

Nel 1991 l'opera venne registrata nell'esecuzione della Royal Concertgebouw Orchestra diretta da Riccardo Chailly (ancora erroneamente identificata come la Jazz Suite n. 2) e pubblicata su un disco intitolato Shostakovich: The Jazz Album (Decca 33702). I movimenti in questa registrazione sono disposti nel seguente ordine: 1, 5, 2, 6, 4, 7, 3, 8. Il Valzer n. 2 nella registrazione di Chailly è stato usato nella colonna sonora del film di Stanley Kubrick Eyes Wide Shut (1999), per i titoli di testa e per quelli di coda.

Si ritiene che la Suite per orchestra di varietà debba essere stata assemblata da Šostakovič non prima del 1956, dato l'utilizzo di materiale proveniente dalla musica composta in quell'anno per il film Il primo scaglione. In effetti, la maggior parte dei movimenti della Suite per orchestra di varietà è materiale riciclato:

  • Il primo e l'ultimo movimento (Marcia e Finale) sono basati sulla "Marcia" dalle Avventure di Korzinkina, op. 59 (1940).
  • Il secondo movimento (Danza n. 1) è un adattamento di "La piazza del mercato" (XVI), tratto dalla colonna sonora per il film Il tafano, op. 97 (1955).
  • Il terzo movimento (Danza n. 2) si rifà a "Invito a un appuntamento" (XX), dal balletto Il limpido ruscello, op. 39 (1934-35) [che a sua volta è ripreso da "Pantomima e danza del Pope" (XIX), dal balletto Il bullone, op. 27 (1930-31)].
  • Il settimo movimento (Valzer n. 2) è un adattamento del "Valzer" (VIII) dalla Suite da Il primo contingente, op. 99a (1956).

Il Flauto Magico : W. A. Mozart (1756 - 1791)

La genesi del Flauto Magico è avvolta dal buio. E' giusto che sia così. Tutte le grandi opere dovrebbero essere avvolte dal mistero. Forse anche oggi, in qualche luogo oscuro e circondato dal più assoluto riserbo, un uomo sta lavorando ad un'opera immortale.
Ufficialmente il libretto del Flauto Magico è stato scritto da Schikaneder, massone di una Loggia di Vienna, ma è con forza che dobbiamo ammettere l'infuenza in ogni verso del letterato e massone Mozart .
Egli ha voluto che questa opera fosse il suo testamento spirituale.
Troppo elevato è il significato simbolico del testo per poterlo attribuire al solo Schikaneder, certamente abile uomo di teatro e valido cantante, ma giustamente interprete nell'opera del personaggio di Papageno e non di quello di Tamino.
D'altronde Mozart già nel finale del Ratto dal Serraglio trasformò una storia romanzesca in una parabola lessinghiana sulla generosità e sulla convivenza umana.
Noi sappiamo che documenti dell' epoca testimoniano inquivocabilmente l'appartenenza di Mozart alla Loggia " La Beneficienza", dove fu iniziato il 14 dicembre 1784, a Vienna.
Questa sua condizione lo ha di certo favorito nello studio della mitologia e in particolare sui suoi significati più profondi. Mozart probabilmente lesse il saggio di Plutarco su Iside e Osiride e l'ultimo libro delle Metamorfosi di Apuleio. Non fu in grado invece di venire a conoscenza dei significati esoterici della Sfinge e delle piramidi egizie, perchè esse aspettavano ancora Napoleone sotto la sabbia del deserto.
Libretto Originale
Secondo alcuni autori Mozart ha usato consciamente simboli propriamente massonici, simboli che corrispondono certamente ad una filosofia e ad un morale particolare, ma che sembrano essere mediati in qualche modo dallo spirito umanista e progressista del Settecento.Sorprendente invece è il fatto che questo lavoro è constantemente pervaso ed arricchito da una simbologia inconscia la cui pienezza e il cui significato poggiano su contenuti archetipici umani universali.
Le avventure del Flauto Magico sono le vicende delle ore che passano e si inseguono, della luce che diventa ombre e della tenebra che ritorna luce. All'inizio mentre Papageno esce cantando e zufolando dal bosco è mattina. Sarastro scende dal suo carro nel caldo mezzogiorno. Poi il giorno inclina verso il crepuscolo e l'universo viene nascosto da un' oscurità spaventevole nella quale comincia il viaggio iniziatico di Tamino. Qualche ora passa. dal chiuso del Tempio il coro dei Sacerdoti comincia ad invocare lo splendore della luce. I tre Genii annunciano che presto il Sole tornerà a percorrere la sua strada dorata. Le insidie della notte non sono ancora vinte e solo quando Pamina e Tamino avranno attraversato l'acqua e il fuoco, il sole pieno, il sole senza ombre e macchia illuminerà la terra.
Lo stesso viaggio avviene nell'animo di ogni iniziato che potrebbe ripetere il grido di Tamino :
" O e terna notte quando scomparirai ? Quando la luce troverà finalmente il mio occhio ? ".
Il rituale di tutte le iniziazioni maschili ha per motto :" Attraverso la notte verso la Luce. " Ciò significa che la direzione di quello che accade è determinata da una simbologia che a partire dal viaggio notturno dell' Eroe nel mare, conosciamo come simbologia solare.Morendo di sera all' occidente il sole deve affrontare il viaggio attraverso il mare oscuro del mondo sotterraneo e della morte per risorgere, trasformato come nuovo sole all' oriente.
Questa simbologia solare è il modello archetipico di tutti gli Eroi e di tutte le vie iniziatiche in cui l' Eroe rappresenta il principio della coscienza che deve essere raggiunto e che deve affermarsi nella lotta contro le forze oscure dell' inconscio. Oltre a ciò l'Eroe deve anche liberare il tesoro per riempirlo di tutti quei contenuti ad esso inerenti e deve farlo lottando contro le forze oscure nemiche della coscienza. Paradossalmente possiamo affermare che Mozart è l' Eroe e che il Flauto Magico è il tesoro da lui liberato.
Non è nell'intenzione di questo scritto fare il riassunto della trama dell' opera, ma è invece interessante riportare in sintesi il contenuto di quelle parti iniziali del libretto che, seppur scritte, non vengono mai rappresentate. Se ciò accadesse molte delle incongruenze di cui è accusato il testo cadrebbero automaticamente.
Prima della nascita di Tamino e Pamina una coppia sovrana dominava il mondo: un Re solare, di cui ignoriamo il nome e la potente Regina della Notte. Tra il principio virile e quello femminile, tra luce e tenebre esisteva allora un mutuo accordo. Questo appare evidente dal fatto che il Re tagliò il magico flauto dal tronco di una quercia millenaria in un ora stregata, fra lo scatenarsi dei tuoni e dei lampi, nel rumore della tempesta notturna: lo tagliò con l' aiuto decisivo della regina della Notte alla quale quel momento apparteneva come sovrana degli incanti notturni.
Qualcuno potrebbe dunque credere che in quel tempo regnasse l'armonia tra i principii opposti e solo il bene " nutrisse la terra. In realtà l'unione fra i due sovrani era stato un compromesso piuttosto che un abbraccio amoroso: con disprezzo infatti il marito teneva lontana la moglie dalle cose, si legge nel testo, che sono incomprensibili allo spirito femminile. Nè la forza del Re doveva intendersi come benefica per intero : egli portava sul petto il settemplice cerchio solare, il segno del suo potere che consumava tutte le cose. Il sole, così come si era incarnato in lui, era una forza che arde e dissecca, che da la vita e la toglie, che cancella la vegetazione, assorbe la potenza materna dell'umidità, rende arido e inabitabile il suolo. Con la morte del sovrano solare i due regni della luce e delle tenebre si dividono,, diventano nemici e la regina viene sconfitta.
Ora vive nel suo palazzo pieno di uccelli e circondato dalla fitta vegetazione del bosco. Un Tempio ricorda ancora il suo culto : tre dame prestano i loro servigi, ma ha perduto il cechio solare del marito e anche sua figlia, unico ricordo della luce, le è stata strappata ed è prigioniera nel castello di Sarastro. Il settemplice cerchio solare, simbolo della forza, ora riposa sul petto di Sarastro venerato da un popolo di Sacerdoti e di schiavi.
Visto dall'esterno il Flauto Magico è un' opera divisa in due atti, ma in realtà è ordinato secondo il numero tre, numero sacro per la Massoneria, che è presente nella partitura musicale con le note del triplice accordo dell' ouverture, ripetute all' inizio del secondo atto e al momento della iniziazione di Tamino. Tale atto, ad un più attento esame, finisce con la ventesima scena e quindi possiamo identificare sicuramente un terzo atto nascosto per la esigenze teatrali del tempo di Mozart. Questa parte inizia con il coro dei sacerdoti.
La struttura dell'Opera si fonda sul simbolismo prettamente massonico della piramide. Il primo atto costituisce la base: in esso predominano le forze ctonie e la Regina della Notte. Nel secondo atto si ascende con l'iniziazione alla zona centrale dell'edificio dove si rappresenta la lotta fra la luce e l'oscurità. Il terzo atto costituisce la cima della piramide e in esso viene celebrata l' unione fra il maschile e il femminile, come segreto di Iside e Osiride.
Vista questa disposizione appaiono più chiare alcune analogie.
Nel primo atto la Regina della Notte si manifesta come madre buona, nel secondo diventa madre terribile, nel terzo è sprofondata all'opposto della cima della piramide, cioè negli abissi. Anche la triplice comparsa del tema musicale si inserisce a vari livelli.
Nel primo atto appare quando viene elaborato il principio d' amore della natura, nel secondo ritorna quando l' umanità raggiunge il paradiso della ragione e ritrova il suo stato originario divino. Per la terza volta il motivo ritorna all' inizio dell' ultima parte in cui viene compiuta l'unione misterica tra Tamino e Pamina. Mozart ci vuole esprimere come ciò che a livello inferiore avviene nella natura e a quello medio nella comunità umana, penetra anche al centro dell' uomo. Non a caso vi sono tre Templi : ai lati opposti quello della Natura e quello della Ragione, mentre è al centro che sta il Tempio della Saggezza.
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L' opera di Mozart, essendo eminentemente simbolica, può essere letta con diversi gradi di significato. Abbiamo scritto prima come essa sia constantemente pervasa da una simbologia inconscia che rende possibile interpetazioni diverse. Se la consideriamo una fiaba essa affonda le radici sicuramente, come tutte le favole, negli archetipi dell' umanità, ma forse più delle altre ci rivela e ci immerge nel gran mondo dei fatti primari, delle storie ancestrali più dell' Orestiade, più dell' Edipo Re, del Faust, di Re Lear.
Se esaminiamo in questa luce il testo, allora diventa ancora più chiaro il carattere di fondo delle figure contrastanti, rappresentate, da un lato dalla regina della Notte e dall' altro dal sacerdozio di Sarastro. La Regina della Notte rappresenta il lato oscuro di ciò che la concezione morale maschile sperimenta come " maligno ", nel corso dell' azione diventa l'iimagine di tutti gli affetti pericolosi, specialmente la vendetta e la superbia, ma soprattutto rappresenta il principio del potere del Male che incarna la morte e vuole impadronirsi delittuosamente del lato luminoso, quello solare del Bene. Il femminile diventa così ancora una volta il tentatore, assume completamente il ruolo del diavolo con l'inganno, la superstizione, la menzogna.
Quando la Regina della Notte dice . " La vendetta dell' inferno bolle nel mio cuore " e ancora " morte e disperazione bruciano in me ", ella esprime il segreto più profondo del suo essere. Astriffiammante rappresenta il simbolo del mondo originario, l'inconscio che si oppone al maschile cioè alla coscienza, che è luce sulla via della realizzazione del sè. Ella è anche il simbolo della Grande Madre, la Dea della Notte che l' Eroe mitico Tamino deve sconfiggere nel suo cammino verso l'iniziazione.
Nel corso della trama altri rapporti vengono a legare archetipicamente i personaggi. Il primo è quello tra la Regina della Notte e Pamina che corrisponde alla situazione archetipica rappresentata dal mitologema di Demetra e Core. La stretta unione di Pamina e più in generale della figlia con la madre, il suo ratto ad opera del mascile e la resistenza alla madre, costituiscono a tutt'oggi un conflitto essenziale nello sviluppo del femminile, momento nel quale si decide se la figlia apparterrà al mondo matriarcale, a quello patriarcale o a quello dell' incontro con l' amato. Pamina percorrerà questa ultima strada per intero fino a congiungersi per formare la Coppia Armonica con Tamino.
Interessante mi sembra ancora esaminare un' altro rapporto: quello fra Tamino, l' Eroe-Principe e Papageno, l' uomo uccello. Goethe a proposito di questo tipo di personaggi scrisse nel Faust:
" Ah, due anime abitano nel mio petto, l' una si vuole separare dall' altra. L' una si aggrappa, con saldi organi e con aspra gioia d' amore al mondo, l' altra si leva d' impeto sù dalla polvere terrena verso i campi degli antichi Avi ".
Il cammino iniziatico dei misteri è, senza dubbio, il cammino dell' eroe, di Tamino, ma il suo slancio ascetico-idealistico sotto il segno della virtù e della saggezza è in naturale contrasto con la razionalità di Papageno che rappresenta la paura e l' indolenza dell' uomo comune che si ritrae dall' ascesi e dallo sforzo. Papageno dice. " Io non voglio in fondo sapienza, io sono un uomo naturale che di sonno, cibi e bere si accontenta e se è possibile catturare una bella donnetta".
Tamino è invece l'eroe che va verso la notte rischiando la morte per arrivare al celeste piacere dell' iniziato. Egli rappresenta il principio della coscienza che deve essere raggiunta e che deve affermarsi nella lotta con le forze oscure dell' inconscio. Egli è alla caccia del tesoro che è simbolo dell' ampliamento di coscienza, che è poi il profitto di ogni iniziazione come ad esempio nel celebre lavoro di Apuleio dove l' iniziato diventa Osiride, cioè illuminatoe illuminante. Papageno non è in grado di partecipare all' alto volo spirituale di Tamino, ma non è che non subisca una trasformazione, solo che essa avviene nell' ambito di un mondo naturale, non tanto inferiore, ma che vibra a una frequenza più grossa. La grandezza di Mozart si esprime in tutta la sua luce quando egli ci manifesta come il mistero superiore dell' iniziazione è colmo della stessa forza d'amore che anima il mondo di Papageno.
Abbiamo visto come la Regina della Notte sia l'inconscio, soprattutto come Madre terribile, come Papageno sia " l'ombra" di Tamino e così Pamina non è solamente l' amata di Tamino da conquistare esteriormente, ma è simbolo dell' anima da conquistare attraverso la prova. Mi spiego più chiaramente: Pamina è l'anima di Tamino stesso, l' immagine del femminile che vive nell'uomo. Ma Pamina non è solo la principessa da salvare, ella si trasforma, sperimentando femminilmente la morte simbolica, cioè il distacco dal matriarcato, nella sposa di Tamino degna di iniziazione.
Il mistero del Flauto Magico si compie e l'unione fra maschile e femminile si realizza assumendo il massimo valore simbolico. Nell' affrontare l' iniziazione è Pamina stessa a condurre per mano Tamino verso le prove dell' acqua e del fuoco. Questo non vuol dire una sua predominanza, bensì la maggiore affinità del femminile verso la natura e il principio d' amore che, come essenza del cuore, porta ad un livello di saggezza. La perfetta unione dei due amanti porta in sè la sacralità del tutto e quindi non solo essi saranno l' ermafrodita , l' androgino, ma rinasceranno deificati e così, come Iside e Osiride, saranno trionfatori sulla morte.
Vediamo per ultimo il personaggio di Sarastro. Egli è un sacerdote solare, come quelli che regnavano nelle antiche teocrazie d' Oriente. Possiede qualità sovraumane, una specie di sesto senso che gli fa riconoscere i più riposti e segreti pensieri dell' uomo. I canti più gravi, le musiche più solenni, i riti più maestosi, l' atmosfera più oscuramente misteriosa e veneranda, formano lo sfondo ad una eco interminabile alla sua fugura. Si può rilevare come Sarastro rappresenti il principio maschile che non si è interamente compiuto con l' unione col femminile. E' un sacerdote, non un Dio incarnato, nel suo regno vi sono anche schiavi e non solo uomini liberi. Sarastro è sì il sole raggiante che sconfigge la notte, ma è una figura minore a confronto della coppia trionfante.
Sulla scena del Flauto Magico accade misteriosamente l' evento che da migliaia di anni la terra attendeva : la luce e il buio, il principio maschile e quello femminile , la coscienza e l'inconscio, si incontrano secondo il principio di Amore. In quest'opera apparentemente favolistica ci viene svelato uno dei segreti più reali del viaggio iniziaticoche dobbiamo percorrere. Questo è il nobile messaggio che Mozart ci dona, un messaggio che egli è ben conscio essere per molti, anche iniziati come lui nelle Logge massoniche, solo una speranza.
Sarastro nell' ultima scena sta in alto, tutto il teatro è luce e la gioia delle trombe ne celebra il trionfo, ma che significato ha qusto trionfo, forse che la tenebra e la notte sono state annientate? Sembra piuttosto che mentre Tamino e Pamina compivano il loro viaggio, la luce del Sole si nutrisse alle sorgenti della notte: assorbiva i suoi tesori che sono la musica, la passione amorosa, il dolore, la natura e li purificava e illuminava mentre purificava se stessa. Così in realtà la Regina della Notte veniva svuotata dalle energie del suo regno e del suo antico potere e fra tuoni e fulmini cade nell' abisso dal quale non potrà più risalire.
Ma anche il regno virile di Sarastro è giunto alla fine con le sue catene, i suoi schiavi e la forza distruttiva del settemplice cerchio solare. Si apre una nuova età, nasce qualcosa che nessuno aveva mai conosciuto. Se l'uomo e la donna si amano, se la virtù e la giustizia sono sentiero alla nostra esistenza, se la dolce calma scende nel nostro cuore, allora " la terra è un regno celeste e i mortali sono pari agli Dei ". Questo è quello che si propone Mozart, quello che esprime all' unisono la sua musica e la sua poesia. In fin dei conti la musica è l' arte in cui gli abissi dell' inconscio sono fusi misteriosamente con la creazione spirituale, l' arte dove si realizza la fra maschile e femminile tanto cara a Jung. Non a caso sarà il flauto che con la sua musica magica permetterà ai due giovani di superare le prove iniziatiche.
La scala dei sentimenti propri della musica mozartiana che abbraccia tutto il mondo, trova nel Flauto Magico la sua espressione più alta. Il tono popolare e comico, la sensualità istintiva e la solennità sacrale di fronte alla morte si succedono e si alternano continuamente. Si può affermare che quando viene raggiunto il culmine in senso musicale e spirituale, immediatamente viene introdotto un moto inverso che impedisce alla liricità spirituale di diventare romantica e alla serietà solenne di diventare tragica.
Mozart da iniziato quale era passa tra il bianco e il nero del pavimento della Loggia sull' unico sentiero percorribile, quello del filo di unione.
La musica e la poesia del Flauto Magico portano all' ineffabile, ci appare ancora una volta quel lampo di luce che splendette per un attimo durante il crollo del Tempio di Salomone quando cadde il velo.

Recensione a cura del:
Ven.mo Fr.Bruno Gazzo









Link di approfondimento:
Trama de "IL FLAUTO MAGICO"

TRADUZIONE DAL LIBRETTO ORIGINALE DELLA FAMOSA ARIA DELLA REGINA DELLA NOTTE


ATTO SECONDO : Scena ottava
La Regina giunge fra tuoni dalla botola centrale, in modo da venirsi a trovare proprio davanti a Pamina.
Regina
Indietro!

Pamina
(svegliatasi)
Oh dèi!

Monostatos
(rimbalza indietro)
Ahimé! - questa è - se non m'inganno, la dea della notte.
(rimane completamente immobile)

Pamina
Madre! madre! madre mia! -
(le cade fra le braccia)

Monostatos
Madre? ehm! è meglio origliare di lontanto.
(sguscia via)

Regina
Lo si deve alla violenza con la quale ti hanno sottratta a me, se io ancora mi chiamo tua madre. - Dov'è il giovane che ti ho inviato?

Pamina
Ah madre, è tolto per sempre al mondo e agli uomini. - Egli si è consacrato agli iniziati.

Regina
Agli iniziati? - Figlia infelice, così mi sei sottratta per sempre. -

Pamina
Sottratta? - Oh fuggiamo, cara madre! Sotto la tua protezione resisto a qualsiasi pericolo.

Regina
Protezione? Cara figliola, tua madre non può più proteggerti. - Con la morte di tuo padre il mio potere è svanito.

Pamina
Mio padre -

Regina
Consegnò volontariamente agli iniziati il settemplice Cerchio del Sole; questo potente Cerchio eliaco Sarastro lo porta sul suo petto. - Quando ne discussi con lui, così mi disse con fronte corrugata: "Donna! la mia ultima ora è giunta - tutti i tesori che ho posseduto sono tuoi e di tua figlia." - "E il Cerchio del Sole che tutto distrugge", - lo interruppi precipitosamente, - "È destinato agli iniziati", rispose, "Sarastro lo saprà amministrare da uomo, come me sino ad oggi. - Ed ora, non una parola di più; non ricercare l'essenza, ch'è incomprensibile allo spirito femminile. - Il tuo dovere è di affidare te e tua figlia alla guida degli uomini saggi."

Pamina
Cara madre, in conclusione, dopo tutto ciò, anche il giovane mi è dunque perduto per sempre?

Regina
Perduto, se tu, prima che il sole colori la terra, non lo persuadi a fuggire attraverso questa volta sotterranea. - La prima luce del giorno decide se egli verrà dato completamente a te o agli iniziati.

Pamina
Cara madre, non potrei allora amare il giovane come iniziato, altrettanto affettuosamente quanto lo amo ora? - Mio padre stesso era invero legato a questi uomini saggi; parlava continuamente di loro con entusiasmo, lodava la loro bontà - la loro intelligenza - la loro virtù. - Sarastro non è meno virtuoso -

Regina
Cosa sento! - Tu, mia figlia, saresti capace di difendere i princìpi abietti di questi barbari? - Di amare un uomo siffatto, che, alleato col mio nemico mortale, preparerebbe in ogni istante solo la mia rovina? - Vedi qui questo acciar? - È stato affilato per Sarastro. - Tu lo ucciderai e mi consegnerai il potente Cerchio del Sole.

Pamina
Ma madre carissima! -

Regina
Non una parola!




Segue la famosa Aria della Regina della notte Astriffiammante riportata nel seguente video in cui ordina alla figlia Pamina di uccidere con il pugnale da lei consegnatole il suo nemico Sarastro minacciandola di ripudiarla se non lo farà (vedi trama - NB). Vocalmente molto difficoltosa dato che presenta un Fa acuto estremamente problematico per tutte le cantanti soprano che vi si sono cimentate:


[N. 14 - Aria]
La vendetta dell'inferno ribolle nel mio cuore,
Morte e disperazione m'infiamman
[tutt'intorno!
Se Sarastro non patisce le pene della morte
Tu non sei più mia figlia:
Sii per sempre ripudiata, per sempre
[abbandonata,
Distrutti sian per te tutti i legami naturali,
Se Sarastro non impallidirà a causa tua! -
Udite, dèi della vendetta - udite! il giuramento
[di una Madre! -
(sprofonda)



" ARIA " tratta dall'omonimo film biografico su Mozart " AMADEUS ".

Tra le invidie dei cortigiani e sotto lo sguardo severo del suo storico "avversario" Salieri, Mozart dirige
IL FLAUTO MAGICO al Theater auf der Wienen nel Settembre 1791.

Nella scena Mozart dirigerà a stento l'orchestra sentendosi venire meno le forze a causa della malattia (insufficenza renale cronica. Vedi link sulle congetture della morte).



W. A. Mozart (1756 - 1791)Il Flauto Magico
La Regina della notte
- Aria

Don Giovanni (opera - W. A. Mozart)

Una antica leggenda, che la tradizione orale ha diffuso per secoli in centinaia di versioni nel folkore di tutta Europa, narra la storia di un giovane gaudente sbadato che, imbattutosi lungo un sentiero nel cranio di un morto, lo prende a calci e lo invita derisoriamente a cena. Più tardi, lo scheletro si presenta davvero ai convitati atterriti, ma si rifiuta di consumare cibo terreno e ricambia l'invito al giovane sacrilego, che deve accettare e alla fine muore, o perlomeno visita l'Aldilà. 
Qui stanno le origini del nucleo essenziale della storia di Don Giovanni, il dissoluto punito, che soprattutto la versione teatrale di Molière (1622-1673) e quella operistica di W. A. Mozart (1756-1791), su libretto di 
L. da Ponte, hanno reso immensamente celebre. Nel film biografico su Mozart, "Amadeus", Salieri (anche esso musicista di corte) spiega al sacerdote in confessione come Mozart abbia composto l'opera immaginando il ritorno del padre Leopold dall'Aldilà per giudicarlo davanti al mondo della sua vita scellerata. In conclusione il DON GIOVANNI ha molto da dire in chiave esoterica, non dimenticando l'affiliazione alla Massoneria di Mozart.




Intervento di Marco Vinco, cantante lirico:
“Anche se le righe che ho a disposizione sono poche, per poter dire qualcosa del mio Leporello debbo almeno toccare quelli che io considero alcuni passaggi fondamentali. 
Don Giovanni è un’opera che parla del Sovrannaturale, quello con il maiuscolo dal momento che lo stesso Mozart lo identifica con un personaggio in carne ed ossa, il Commendatore. Sebbene per molti tale affermazione possa sembrare banale, vi assicuro che non lo è affatto poiché sempre più spesso i registi, per l’insensato gusto del “diverso per il diverso” che ormai va tanto di moda, ne riducono gli elementi metafisici a banali allucinazioni o sogni del protagonista, facendo per esempio apparire Don Giovanni come un tossicodipendente o un sognatore in preda a delle visioni, sostituendo l’ingresso alla scena finale del Commendatore con una proiezione della mente causata da un delirio mentale momentaneo. Il risultato di simili esperimenti è quello di una totale banalizzazione del contenuto e, mi permetto di dire, anche della forma dell’opera stessa, conseguenze del tutto evitabili se invece ci si preoccupasse di ascoltare la musica e leggere il libretto. Togliendo l’elemento Metafisico, il Mistero, oltre a togliere ogni fascino all’intera opera si cade nell’equivoco clamoroso di considerare il personaggio di Don Giovanni sullo stesso piano del banale Casanova. Purtroppo o per fortuna esso è molto di più, egli vive in un’altra dimensione rispetto ai terreni, vede aldilà di ciò che vedono le persone semplici, non prova gusto a sedurre le donne come lo proviamo noi, ma prova una smania di possederle per sfidare l’Assoluto. Il rapporto, la relazione tra egli e il Metafisico, che è sempre conflittuale, si può quindi indicare precisamente con la parola dramma. E’ in forza della lotta con Esso che nasce la violenza del personaggio, non tanto, come tutti cercano di far sembrare, in forza di una particolare inclinazione del suo temperamento o atteggiamento esteriore. Don Giovanni è totalmente lontano dalla terra, dall’umanità, dall’amore, dal senso di colpa. Non è un uomo, è altro, non a caso si parla di mito."

http://www.nonsolocinema.com/Don-Giovanni-di-Wolfgang-Amadeus_17592.html

W. A. Mozart

"Qui stanno le origini del nucleo essenziale della storia di Don Giovanni, il dissoluto punito, che soprattutto la versione teatrale di Molière (1622-1673) e quella operistica di W. A. Mozart (1756-1791), su libretto di L. da Ponte, hanno reso immensamente celebre. Su quest'ultima in particolare appunteremo brevemente la nostra attenzione. Un'innovazione introdotta rispetto alla leggenda popolare sta nel fatto che Don Giovanni proprio all'inizio dell'opera aveva ucciso in un duello l'austero Commendatore, accorso in difesa della figlia che il libertino stava vittoriosamente seducendo; il Morto, dunque, ha una precisa identità. L'incontro avviene nella scena 12 dell'atto II (Cimitero circondato da un muro; diversi monumenti equestri, fra cui quello del Commendatore. Chiaro di luna): la voce solenne e terribile che proviene dalla statua ("di rider finirai pria dell'aurora [...] Ribaldo audace! / Lascia a' morti la pace.") interrompe la sacrilega risata di Don Giovanni e anticipa la conclusione drammatica della vicenda. È, anche nei suoi caratteri musicali di fissità ieratica, la voce stessa del Sacro, del soprannaturale.
Ma il Dissoluto non si adegua alla nuova dimensione che gli si affaccia di fronte, e la risposta è sprezzante: l'invito a cena rivolto al "vecchio buffonissimo". L'invito è accettato e nella scena 17 il Convitato di pietra si presenterà, imponendo una terrificante svolta al clima drammatico e musicale, al cospetto di Don Giovanni immerso nei bagordi ("vivan le femmine!/Viva il buon vino!").
L'insistenza di questa scena sul tema del cibo e dell'ingordigia di Don Giovanni può far pensare a una traccia di antichi rituali mortuari: il libertino sta in realtà consumando il suo pasto funebre. Certo è proprio il tema del cibo a sancire la barriera fra i due mondi: "non si pasce di cibo mortale/chi si pasce di cibo celeste". La conclusione segue l'antica leggenda popolare nel motivo dell'invito a cena ricambiato da parte del messaggero dell'aldilà, ma vi aggiunge il grande scontro fra la dimensione morale ("Pèntiti, cangia vita:/è l'ultimo momento") e quella del rifiuto, della ribellione pervicace.
È così che in Don Giovanni sprofondato all'inferno (un finale tragico per una 'opera buffa') si sono potuti vedere (specie nelle interpretazioni otocentesche) i tratti di una sorta di eroe del moderno libero pensiero. Non sapremo mai se o quanto Mozart sarebbe stato d'accordo."



Trama e storia completa dell'opera :  
http://it.wikipedia.org/wiki/Don_Giovanni_%28opera%29

ATTO II - SCENA XVII.
Nel palazzo di Don Giovanni, tutto è pronto per la cena: la tavola è preparata, i musicisti sono al loro posto ecc... Quindi Don Giovanni si siede a mangiare. Il licenzioso cavaliere si intrattiene ascoltando brani delle opere: Una cosa rara di Vicente Martín y Soler, Fra i due litiganti il terzo gode di Giuseppe Sarti e in fine in una spiritosa autocitazione, Le nozze di Figaro, in quel caso, l'aria di Figaro Non più andrai farfallone amoroso dello stesso Mozart (Già la mensa è preparata). Giunge all'improvviso Donna Elvira, che implora ancora una volta a Don Giovanni di pentirsi, ma questi si prende gioco di lei e la caccia via. La donna esce di scena, ma la si sente gridare terrorizzata. Don Giovanni ordina a Leporello di andare a vedere cosa stia accadendo là fuori e si sente un altro grido e questa volta è Leporello a tornare pallidissimo e tremante: alla porta c'è la statua del Commendatore! Dato che il servo è troppo spaventato, lo stesso Don Giovanni, allora, si reca ad accoglierla a testa alta mentre il servo si nasconde sotto al tavolo (Ultima prova dell'amor mio). Entra quindi la statua del Commendatore vedendo Don Giovanni stupìto e Leporello tremante che cerca di convincere il padrone a scappare, malgrado egli rifiuti.
Il "convitato di pietra" vuole ricambiare l'invito, e propone a Don Giovanni di recarsi a cena da lui, porgendogli la mano. Impavido e spericolato, Don Giovanni accetta e stringe la mano della statua: pur prigioniero di quella morsa letale, rifiuta fino all'ultimo di pentirsi. Il Commendatore, molto arrabbiato, scompare in mezzo a nubi di foschia, improvvisamente compare fuoco da diverse parti e si sente un gran terremoto; sono demoni e diavoli che stanno richiamando il libertino all'inferno. Egli cerca di sfuggire al suo destino ma il potere dei mostri è troppo forte e Don Giovanni viene inghiottito dalle fiamme dell'inferno (Don Giovanni a cenar teco).


TESTO DEL LIBRETTO :

atto
Secondo
scena
Diciassettesima
Don Giovanni, Leporello e la statua del Commendatore; poi coro interno.
Don Giovanni ritorna seguìto dal Commendatore.
Andante
Archi, 2 Flauti, 2 Oboi, 2 Clarinetti in si bem., 2 Fagotti, 2 Corni in fa, 2 Trombe in re, Timpani in re la, 3 Tromboni (Alto, Tenore, Basso).
COMMENDATORE
Don Giovanni! a cenar teco
m'invitasti, e son venuto.
DON GIOVANNI
Non l'avrei giammai creduto,
ma farò quel che potrò.
(a Leporello)
Leporello, un'altra cena
fa' che subito si porti!
LEPORELLO
(mezzo fuori col capo dalla mensa)
Ah, padron!... Siam tutti morti!
DON GIOVANNI
Vanne, dico...
(Leporello, con molti atti di paura, va per partire)
COMMENDATORE
Ferma un po'!
Non si pasce di cibo mortale
chi si pasce di cibo celeste.
[Insieme]
LEPORELLO
La terzana d'avere mi sembra,
e le membra fermar più non so.
COMMENDATORE
Altre cure più gravi di queste,
altra brama quaggiù mi guidò!
DON GIOVANNI
Parla, dunque: che chiedi? che vuoi?
[Insieme]
DON GIOVANNI
Parla, parla: ascoltando ti sto.
LEPORELLO
E le membra fermar più non so.
COMMENDATORE
Parlo, ascolta: più tempo non ho.
COMMENDATORE
Tu m'invitasti a cena:
il tuo dover or sai.
Rispondimi: verrai
tu a cenar meco?
LEPORELLO
(al Commendatore)
(da lontano, tremando)
Oibò!
Tempo non ha... scusate.
DON GIOVANNI
A torto di viltate
tacciato mai sarò!
COMMENDATORE
Risolvi!
DON GIOVANNI
Ho già risolto!
COMMENDATORE
Verrai?
LEPORELLO
(a Don Giovanni)
Dite di no.
DON GIOVANNI
Ho fermo il core in petto,
non ho timor: verrò!
COMMENDATORE
Dammi la mano in pegno!
DON GIOVANNI
Eccola!
(grida forte)
Più stretto
DON GIOVANNI
Ohimè!
COMMENDATORE
Cos'hai?
DON GIOVANNI
Che gelo è questo mai!
COMMENDATORE
Pèntiti, cangia vita:
è l'ultimo momento!
DON GIOVANNI
(vuol sciogliersi, ma invano)
No, no, ch'io non mi pento:
vanne lontan da me!
COMMENDATORE
Pèntiti scellerato!
DON GIOVANNI
No, vecchio infatuato!
COMMENDATORE
Pèntiti.
DON GIOVANNI
No.
COMMENDATORE
Sì.
DON GIOVANNI
No.
COMMENDATORE
Ah! tempo più non v'è!
(fuoco da diverse parti, tremuoto, etc. Il Commendatore sparisce)
Allegro
DON GIOVANNI
Da qual tremore insolito...
sento... assalir... gli spiriti...
Donde escono quei vortici
di fuoco pien d'orror?...
CORO
invisibile; soli bassi
Tutto a tue colpe è poco.
Vieni: c'è un mal peggior!
A due; e poi nuovamente, insieme col coro
[Insieme]
LEPORELLO
Che ceffo disperato!...
Che gesti da dannato!...
Che gridi! che lamenti!...
Come mi fa terror!...
DON GIOVANNI
Chi l'anima mi lacera!...
Chi m'agita le viscere!...
Che strazio! ohimè! che smania!
Che inferno!... che terror!...
CORO
Invisibile
Tutto a tue colpe è poco.
Vieni: c'è un mal peggior!
(il fuoco cresce. Don Giovanni si sprofonda)
DON GIOVANNI,
Ah!
LEPORELLO