31/12/11

BUON ANNO : Libiamo ne' lieti calici (Giuseppe Verdi 1813 - 1901)









Libiamo ne' lieti calici


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1leftarrow.pngVoce principale: La traviata.


Le prime 15 battute



Libiamo ne' lieti calici è un celebre brindisi in tempo di valzer del primo atto della Traviata di Giuseppe Verdi (scena II). Costituisce uno degli episodi in cui si articola l'introduzione dell'opera ed è intonato da Violetta (soprano), Alfredo (tenore) e dal coro imbottito di seconde parti (Flora, Gastone, il Barone, il Dottore, il Marchese). I versi furono scritti da Francesco Maria Piave.



Testo preso dallo spartito :


Alfredo:
Libiam libiamo, ne' lieti calici,
che la bellezza infiora;
e la fuggevol fuggevol'ora
s'inebrii a voluttà.
Libiam ne' dolci fremiti
che suscita l'amore,
poiché quell'occhio al core
Onnipotente va.
Libiamo, amore; amor fra i calici
più caldi baci avrà.
Tutti:
Ah! Libiam, amor fra i calici
Più caldi baci avrà.
Violetta:
Tra voi saprò dividere
il tempo mio giocondo;
tutto è follia follia nel mondo
Ciò che non è piacer.
Godiam, fugace e rapido
è il gaudio dell'amore;
è un fior che nasce e muore,
né più si può goder.
Godiam c'invita c'invita un fervido
accento lusighier.
Tutti:
Ah! Godiamo, la tazza e il cantico
la notte abbella e il riso,
in questo in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.
Violetta:
La vita è nel tripudio...
Alfredo:
Quando non s'ami ancora...
Violetta:
Nol dite a chi l'ignora,
Alfredo:
È il mio destin così...
Tutti:
Ah! Godiamo, la tazza e il cantico
la notte abbella e il riso,
in questo in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.











17/12/11

Barbiere di Siviglia (G. Rossini)



Largo al factotum è la cavatina di Figaro (baritono) nella seconda scena del primo atto del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini.

Egli si presenta come il tuttofare della città, oltre che come barbiere (infatti factotum viene dal latino, che letteralmente significa "colui che fa qualunque cosa"), vantando la propria popolarità. Figaro afferma ciò perché a quel tempo i barbieri non si limitavano a tagliare barbe e capelli, ma esercitavano più mestieri, tra i quali alcune forme di medicina.

Costituisce un pezzo di bravura per i baritoni, la cui tecnica è messa alla prova dai numerosi scioglilingua, tipici dell'opera buffa, ed è inoltre uno dei pezzi più celebri del repertorio operistico classico.

Testo desunto dallo spartito

Largo al factotum della città.- Largo
Presto a bottega che l'alba è già. - Presto
Ah, che bel vivere, che bel piacere, che bel piacere
per un barbiere di qualità, di qualità!
Ah, bravo Figaro!
Bravo, bravissimo!
Fortunatissimo per verità!
Pronto a far tutto,
la notte e il giorno
sempre d'intorno in giro sta.
Miglior cuccagna per un barbiere,
vita più nobile, no, non si da.
Rasori e pettini
lancette e forbici,
al mio comando
tutto qui sta.
V'è la risorsa,
poi, del mestiere
colla donnetta... col cavaliere...
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono,
donne, ragazzi, vecchi, fanciulle:
Qua la parrucca... Presto la barba...
Qua la sanguigna...
Presto il biglietto...
Qua la parrucca, presto la barba,
Presto il biglietto, ehi!
Figaro! Figaro! Figaro!, ecc.
Ahimè, che furia!
Ahimè, che folla!
Uno alla volta, per carità!
Ehi, Figaro! Son qua.
Figaro qua, Figaro là,
Figaro su, Figaro giù,
Pronto prontissimo son come il fulmine:
sono il factotum della città.
Ah, bravo Figaro! Bravo, bravissimo;
a te fortuna non mancherà.



 L'OPERA :



Il barbiere di Siviglia è un'opera di Gioacchino Rossini su libretto di Cesare Sterbini tratto dalla commedia omonima di Beaumarchais.
Il titolo originale è Almaviva, o sia l'inutile precauzione. Il libretto era stato già musicato l'anno prima da Francesco Morlacchi. Prima di lui, Giovanni Paisiello aveva messo in scena il suo Barbiere di Siviglia nel 1782.

La prima rappresentazione ebbe luogo il 20 febbraio 1816 al Teatro Argentina a Roma e terminò fra i fischi. A provocarli, secondo i pettegolezzi dell'epoca, sarebbero stati gli impresari di un teatro concorrente, il Teatro Valle; secondo altri, la colpa fu di alcuni seguaci di Paisiello e della sua versione dell'opera. Il solo annuncio che Rossini stava preparando una nuova versione del Barbiere di Siviglia aveva suscitato non poche polemiche, anche in considerazione del fatto che all'epoca Paisiello era ancora vivo.

Il fiasco della prima fu però riscattato immediatamente dal successo delle repliche e l'opera di Rossini finì presto per oscurare la precedente versione di Paisiello, divenendo ad oggi una delle opere più rappresentate al mondo.

Il contralto Geltrude Righetti Giorgi fu la prima Rosina della storia mentre il ruolo di Almaviva fu affidato al grande tenore spagnolo Manuel García.

Trama 

Atto I 

Il conte di Almaviva è innamorato della bella Rosina, che abita nella casa del suo anziano tutore, don Bartolo, a sua volta segretamente intenzionato a sposarla. Il conte chiede a Figaro, barbiere nonché "factotum della città", di aiutarlo a conquistare il cuore della ragazza, alla quale si è presentato sotto il falso nome di Lindoro. Figaro consiglia al conte di cambiare personalità e fingersi un giovane soldato, di cui Rosina si dimostra presto interessata grazie anche ad una bella serenata cantata sotto le finestre della casa del dottore; il barbiere procura inoltre a Lindoro un foglio che ne attesta la temporanea residenza in casa di don Bartolo e tenta di allacciare i rapporti con Rosina. Don Basilio, il maestro di musica della ragazza, sa della presenza del conte di Almaviva in Siviglia e suggerisce a don Bartolo di calunniarlo per sminuirne la figura, giunge in casa sorprendendo Figaro e Rosina. La ragazza aveva già scritto un biglietto per Lindoro, ma Don Bartolo si accorge che manca un foglio dal taccuino e striglia Rosina. Secondo i piani, il conte di Almaviva irrompe nella casa di Don Bartolo fingendosi un soldato ubriaco, ma crea una tale confusione che arrivano i gendarmi. Quando però il conte si fa riconoscere di nascosto dall'ufficiale, i soldati si ritirano in buon ordine, lasciando Don Bartolo esterrefatto. Continua con il Secondo Atto (Atto ||)

Atto II

Don Bartolo comincia a sospettare riguardo alla vera identità del giovane soldato. Giunge il sedicente maestro di musica Don Alonso (in realtà sempre il conte, celato in un nuovo travestimento), che afferma di essere stato inviato da Don Basilio, rimasto a casa febbricitante, a sostituirlo nella lezione di canto per Rosina.
Per guadagnare la fiducia del tutore, il finto Don Alonso gli mostra il biglietto che Rosina gli aveva mandato. Nel frattempo giunge Figaro con il compito di radere la barba al padrone di casa. Nonostante Figaro faccia il possibile per coprire la conversazione dei due giovani, Don Bartolo capta le loro parole e caccia tutti. Con lui resta solo Berta, la serva, a commiserare il vecchio padrone.
Don Bartolo fa credere a Rosina, mostrandole il biglietto consegnatogli da Don Alonso, che Lindoro e Figaro si vogliano prendere gioco di lei, e quest'ultima amareggiata acconsente alle nozze con il suo tutore, che prontamente fa chiamare il notaio. In quel momento arriva anche Don Basilio, mentre con una scala Figaro e il Conte entrano in casa dalla finestra e raggiungono Rosina. Finalmente il conte rivela la propria identità, per chiarire la situazione e convincere la fanciulla della sincerità del suo amore.
Don Bartolo ha però fatto togliere la scala e i tre complici si trovano senza via di fuga. In quel momento sopraggiunge il notaio chiamato a stendere il contratto delle nozze tra Don Bartolo e Rosina. Approfittando dell'assenza temporanea del tutore, il conte convince lui e Don Basilio (dietro congrua ricompensa) a inserire nel contratto il nome suo in luogo di quello di Don Bartolo. Giunto troppo tardi, a quest'ultimo resta la magra consolazione di aver risparmiato la dote per Rosina, che il conte di Almaviva rifiuta. Gli amanti coronano dunque il loro sogno.

Personaggi e interpreti 

ruolo tipologia vocale cast della prima, 20 febbraio 1816
(direzione: Gioachino Rossini)
Il Conte d'Almaviva tenore Manuel García
Bartolo basso buffo Bartolomeo Botticelli
Rosina contralto Geltrude Righetti Giorgi
Figaro baritono Luigi Zamboni
Basilio basso Zenobio Vitarelli
Berta soprano Elisabetta Loyselet
Fiorello baritono Paolo Biagelli
Ambrogio, un ufficiale, un alcalde, un notaro, agenti di polizia, soldati, suonatori

Struttura dell'opera


Rappresentazione del 15 novembre 1916 al Teatro Bol'šoj di Mosca. (In alto, il celebre basso Fëdor Ivanovič Šaljapin)

Atto I 

  • 1 Introduzione
    • Coro Piano, pianissimo (Fiorello, Conte, Coro)
    • Cavatina Ecco, ridente in cielo (Conte)
    • Seguito dell'introduzione (Recitativo) Ehi, Fiorello?... (Conte, Fiorello, Coro)
  • 2 Cavatina Largo al factotum (Figaro)
  • 3 Canzone Se il mio nome saper voi bramate (Conte)
  • 4 Duetto All'idea di quel metallo (Figaro, Conte)
  • 5 Cavatina Una voce poco fa (Rosina)
  • 6 Aria La calunnia è un venticello (Basilio)
  • 7 Duetto Dunque io son... tu non m'inganni? (Rosina e Figaro)
  • 8 Aria A un dottor de la mia sorte (Bartolo)
  • 9 Finale I Ehi di casa... buona gente... (Rosina, Berta, Conte, Figaro, Bartolo, Basilio, Ufficiale, Coro)

Atto II 

  • 10 Duettino Pace e gioia sia con voi (Conte, Bartolo)
  • 11 Aria Contro un cor che accende amore (Rosina)
  • 12 Arietta Quando mi sei vicina (Bartolo)
  • 13 Quintetto Don Basilio!... (Rosina, Conte, Figaro, Bartolo, Basilio)
  • 14 Aria Il vecchiotto cerca moglie (Berta)
  • 15 Temporale
  • 16 Terzetto Ah! qual colpo inaspettato (Rosina, Conte, Figaro)
  • 17 Recitativo strumentato Il Conte!... ah, che mai sento!... (Conte, Bartolo)
  • 18 Aria Cessa di più resistere (Conte, Coro)
  • 19 Finaletto II Di sì felice innesto (Rosina, Berta, Conte, Figaro, Bartolo, Basilio, Coro)

Arie alternative 


Nellie Melba come Rosina (primi anni venti)

  • 8b Aria alternativa (al posto di A un dottor della mia sorte) Manca un foglio (Bartolo) scritta da Pietro Romani
  • 11b Aria alternativa (al posto di Contro un cor che accende amor) La mia pace, la mia calma (Rosina)
  • 14b Aria (posta dopo il dialogo tra Rosina e don Bartolo) Ma forse, ahimè, Lindoro (Rosina)
  • Per una rappresentazione a Padova, Rossini riscrisse l'aria Cessa di più resistere per il personaggio di Rosina, che nell'occasione era interpretata da Geltrude Righetti Giorgi

Organico orchestrale 

La partitura di Rossini prevede l'utilizzo di:
Per i recitativi:

Edizione critica 

L'edizione critica del Barbiere di Siviglia è stata curata da Alberto Zedda e pubblicata da Ricordi nel 1969.

Incisioni discografiche (scelta)

Anno Cast (Figaro, Rosina, Almaviva, Bartolo, Basilio) Direttore Etichetta
1958 Tito Gobbi, Maria Callas, Luis Alva, Fritz Ollendorf, Nicola Zaccaria Alceo Galliera EMI

Robert Merrill, Roberta Peters, Cesare Valletti, Giorgio Tozzi, Fernando Corena Erich Leinsdorf RCA
1960 Nicola Monti, Gianna D'Angelo, Renato Capecchi, Giorgio Tadeo Bruno Bartoletti Deutsche Grammophon
1972 Hermann Prey, Teresa Berganza, Luis Alva, Enzo Dara, Paolo Montarsolo Claudio Abbado Deutsche Grammophon
1975 Sherrill Milnes, Beverly Sills, Nicolai Gedda, Renato Capecchi, Ruggero Raimondi James Levine EMI
1982 Leo Nucci, Marilyn Horne, Paolo Barbacini, Enzo Dara, Samuel Ramey Riccardo Chailly Fonit Cetra
1989 Leo Nucci, Cecilia Bartoli, William Matteuzzi, Enrico Fissore, Paata Burchuladze Giuseppe Patanè Decca
1993 Placido Domingo, Kathleen Battle, Frank Lopardo, Lucio Gallo, Ruggero Raimondi Claudio Abbado Deutsche Grammophon
2005 Pietro Spagnoli, Marìa Bayo, Juan Diego Flòrez, Bruno Praticò, Ruggero Raimondi Gianluigi Gelmetti DECCA
2008 Roberto Frontali, Rinat Shaham, Francesco Meli, Bruno de Simone, Giovanni Furlanetto Antonino Fogliani Dynamic (record label)

Adattamenti cinematografici 

L'opera di Rossini è stata oggetto di numerosi adattamenti per il cinema e la televisione.
In particolare si ricorda qui il film del 1946 girato dal regista Mario Costa, nel quale Il Barbiere rossiniano era interpretato, fra gli altri, da Ferruccio Tagliavini nel ruolo di Almaviva e Tito Gobbi in quello di Figaro.
Un'altra edizione storica è quella del 1972 diretta da Abbado, per la regia televisiva di Ponnelle, con Hermann Prey, Teresa Berganza, Luigi Alva, Enzo Dara, Paolo Montarsolo, e con l'Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala di Milano.

Influenze nella cultura popolare [modifica]

Bibliografia

  • Marco Beghelli e Nicola Gallino (a cura di), Tutti i libretti di Rossini, Milano, Garzanti, 1991. ISBN 88-11-41059-2

Altri progetti

Collegamenti esterni

15/12/11

Gianni Schicchi (opera) - O mio babbino caro (Giacomo Puccini)

Giacomo PucciniO mio babbino caro è un'aria dell'opera Gianni Schicchi (1918) di Giacomo Puccini, su libretto di Giovacchino Forzano. La canta il personaggio di Lauretta, rivolgendosi al padre Gianni Schicchi, quando lo scontro tra questi e la famiglia Donati giunge a un punto tale da mettere a rischio la sua storia d'amore con Rinuccio Donati.

 

  

Libretto 

O mio babbino caro,
Mi piace è bello, bello;
Vo' andare in Porta Rossa
a comperar l'anello!
Sì, sì, ci voglio andare!
E se l'amassi indarno,
andrei sul Ponte Vecchio,
ma per buttarmi in Arno!
Mi struggo e mi tormento!
O Dio, vorrei morir!
Babbo, pietà, pietà!...




 


La grande Maria Callas interpreta 
O mio babbino caro


Divina Commedia - Inferno (Dante Alighieri)


Roberto Benigni interpreta e spiega il verso 103 Canto V dell'Inferno, della Divina Commedia di Dante Alighieri:





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Amor, ch'a nullo amato amar perdona è il verso 103 Canto V dell'Inferno, della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Si tratta di uno dei versi più celebri dell'intera opera dantesca e, pertanto, è uno dei versi più importanti in assoluto nella storia della letteratura italiana.

Questo si trova nella posizione centrale di una doppia Anafora, costituita da tre versi celeberrimi:

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende v. 100
Amor, ch'a nullo amato amar perdona v. 103
Amor condusse noi ad una morte: v. 106

Inoltre il verso centrale racchiude tre volte la parola Amore, donando così all'anafora una struttura simmetrica che ha contribuito ad attirare l'attenzione dei lettori danteschi.

La storia 


Il canto che lo contiene, il quinto, è in gran parte dedicato alla figura di Francesca da Rimini, amante di Paolo Malatesta e sposata con il fratello di lui, Gianciotto. La storia dice che il marito di lei scoprirà il tradimento e li ucciderà entrambi. Per questo motivo le anime dei due amanti sono state confinate nel secondo girone infernale, quello dei peccatori carnali, ed inseriti nella schiera dei morti per amore, quella di Didone.

Il verso appartiene al primo intervento di Francesca e narra del perché lei si innamorò di Paolo. Come altri versi del canto, si presta a molteplici letture, che Dante aveva assai probabilmente ben presenti:

  1. Da una parte è enfatizzata la forza travolgente dell'amore, la quale (come già hanno detto in molti) non consente ad una persona che sia davvero amata di non ricambiare (e questo spiega l'attrazione tra Paolo e Francesca);
  2. L'amore (consacrato in un matrimonio, come quello di Francesca) non perdona e non permette di amare altri;

L'amore è dunque, nell'universo dantesco, qualcosa di complesso che non si può ridurre al solo "amor cortese" in quanto pone delle contraddizioni naturali che portano ad esiti anche tragici, tanto che è lei a dire Amor condusse noi ad una morte.

A Francesca il sacramento del matrimonio non permetterebbe di amare altri se non suo marito. Lo stesso Amore però non le permette di non riamare e non ricambiare il sincero sentimento di Paolo (cosa che porterà entrambi ad "una morte" ed alla dannazione eterna).

Proprio questa contraddizione tra precetto religioso e forza travolgente dell'amore, espressa in forma così alta e rarefatta, spiega la pietà di Dante per i due "peccatori".

Il poeta non si comporta da moralista, semplicemente descrive la tragicità del conflitto tra morale e passione, che sono due forze invincibili.

E così sia pure colloca Paolo e Francesca tra i dannati, non può fare a meno di provare un senso di profonda ed umana pietà e di compiangerne la sorte.

Senso letterale 


Amor, ch'a nullo amato amar perdona

Amor: è il soggetto del verso e costituisce una cosiddetta figura Etimologica, o Annominazione, poiché vi sono tre parole nel verso che hanno la stessa origine etimologica: Amor, amato, amar.

ch: che, ovvero il quale si riferisce ad Amor: il quale amor.

a nullo: nullo deriva dal latino nullus, che significa nessuno. Qui nasce una doppia interpretazione poiché "a nullo" in latino significa "da nessuno", mentre se si considera solo "nullo" preso dal latino la traduzione diventa "a nessuno". Quest'ultima è l'interpretazione più frequente.

Amato: si riferisce a "nullo", per cui nel senso comune "a nullo amato" significa "a nessuno che è amato".

Amar perdona: l'amore perdona l'amare, ma poiché si riferisce a nessuno (nullo) in realtà significa "a nessuno perdona l'amare".

Riassumendo l'esegesi corrente è: "L'amore, che a nessuno perdona, se amato, di riamare" "L'Amore, che obbliga chi è amato ad amare a sua volta".

14/12/11

Franz Joseph Haydn



Concerto per tromba
in mi bemolle maggiore :



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Thomas Hardy, Ritratto di Joseph Haydn, 1792


Concerto per tromba
in mi bemolle maggiore, Hob:VIIe:1
Musica: Franz Joseph Haydn
  1. Allegro
  2. Andante (la bemolle maggiore)
  3. Finale. Allegro
Organico: tromba solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: 1796
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal, 26 Marzo 1800
Edizione: Afa Verlag, Berlino, 1931
Dedica: Scritto per Anton Weidinger (inventore della tromba a chiavi)

Guida all'ascolto 1 (nota 1)
Ben noto a tutti i trombettisti, per i quali insieme al Concerto di Hummel rappresenta un banco di prova obbligatorio, il Concerto per tromba e orchestra in mi bemolle maggiore di Joseph Haydn non è solo uno dei vertici dell'intero repertorio per tromba solista, ma ricopre al suo interno un ruolo decisivo nello sviluppo della tecnica strumentale. Fu infatti scritto, nel 1796, su misura per la nuova tromba a chiavi messa a punto da Anton Weidinger, amico di Haydn e trombettiere dell'esercito imperiale viennese. Weidinger aveva cominciato a lavorare sull'inedito meccanismo tre anni prima: diversamente dalla tromba "naturale" (la cosiddetta tromba clarino) fino ad allora in uso, il nuovo strumento disponeva ora di un sistema di quattro leve (o "chiavi") per aprire e chiudere agevolmente i fori. Questo permetteva di poter suonare, anche velocemente, tutti i semitoni della scala cromatica a partire dal mi bemolle, per un'estensione di oltre due ottave. Una vera svolta che avrebbe portato rapidamente alla moderna tromba a pistoni.
All'interno del cospicuo catalogo haydniano il Concerto per tromba rappresenta l'ultimo lavoro per strumento solista e orchestra nonché, a un anno esatto dalla Sinfonia "London", l'ultimo lavoro puramente strumentale, concepito per un organico decisamente "sinfonico" con una sezione di fiati che oltre alla consueta coppia di flauti, oboi, corni e fagotti, conta anche due trombe più i timpani. Malgrado tale generosità timbrica, per il Robbins Landon il Concerto è "l'opera meno riuscita della vecchiaia"; d'altra parte, aggiunge, "Haydn non fu mai completamente a suo agio con la forma del Concerto", salvo infine riconoscere che si tratta comunque della "più bella composizione del genere", impensabile in tutta la precedente carriera di Haydn se non fosse stato per l'invenzione di Weidinger che, peraltro, non suonò in pubblico la composizione pri¬ma del marzo del 1800, probabilmente per problemi tecnici di messa a punto.
Formalmente Haydn non si pone particolari problemi e adotta tranquillamente lo stereotipo tripartito, con alcuni debiti verso il Mozart dei Concerti per pianoforte e orchestra più maturi. Nell'Allegro gli archi introducono il primo tema, dall'incedere sommesso ma scorrevole, che lascia subito filtrare echi militareschi. L'entrata della tromba ne ricalca il profilo, giocando subito su quello che all'epoca doveva essere un effetto sorpresa facendo intonare al solista figurazioni diatoniche e cromatiche che non sarebbero state possibili su una tromba naturale in mi bemolle, soffermandosi poi di preferenza su fraseggi legati. Passaggi ritmicamente più veloci ed esercizi cromatici fanno la loro comparsa nella fase di sviluppo, culminante in una cadenza che permette alla tromba di svettare in tutta la sua inedita brillantezza, sfoggiando abilità nel l'affrontare registri contrastanti, rapide progressioni e volatine diatoniche. Nel secondo movimento (Andante cantabile) è facile riconoscere l'avvio di quello che l'anno successivo (1797), plasmato dallo stesso Haydn, diventerà l'inno nazionale austriaco. Il vero motivo di interesse di questa breve oasi serena sono però le ampie arcate melodiche, di notevole impegno per il solista, disegnate sopra un caratteristico andamento lirico "alla siciliana"; soprattutto incisive, e quasi compiaciute nella loro dilatazione, appaiono ora le figurazioni cromatiche, mentre i delicati sforzando in controtempo riportano alla mente analoghi passaggi nel movimento lento della Sinfonia "London".
Il concerto si chiude quindi con un vispo Allegro in forma di Rondò. Haydn recupera qui la sua identità stilistica con artifìci contrappuntistici in chiave giocosa, lasciando libera la tromba di eseguire in scioltezza gli ampi salti melodici e le rapide figurazioni che caratterizzano i vari eprsodi.
Giovanni D'Alò

Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Composto nel 1796 dopo il rientro a Vienna dal secondo soggiorno londinese, il Concerto per tromba e orchestra di Franz Joseph Haydn fu pensato ad hoc per il trombettista di corte Anton Weidinger, l'ideatore della tromba a chiavi (la «tromba organizzata»), una nuova invenzione risalente a pochi anni prima. Con questo strumento, una via di mezzo tra la tromba naturale e quella a pistoni, che prevedeva l'aggiunta di alcune chiavi simili a quelle dei legni, era possibile utilizzare tutte le note della scala cromatica, anche nei registri più gravi, allargando quindi la gamma di suoni disponibili. La comparsa della tromba di Weidinger interessò il pubblico e catturò la fantasia di molti compositori, come Sussmayr, Kozeluch, Kauer, Hummel, tanto che nacquero molte pagine di buona musica per il nuovo modello di tromba. Dal punto di vista stilistico il Concerto haydniano affonda le proprie radici in pieno Settecento, e pare voler concludere nel migliore dei modi la tradizione di un'epoca che aveva prodotto, tra l'altro, il capolavoro del Concerto per due trombe di Vivaldi. Pensiamo alle influenze dell'opera buffa, italiana, così visibili nell'ironia e nel vis comica dell'ultimo tempo (Finale. Allegro), dominato da un vitalismo sfrenato e da notevole vivacità melodica. Ma anche nel primo movimento, Allegro, la tromba mostra una brillantezza sonora spiccata, ben sostenuta da un'orchestra che duetta con disinvoltura. Nell'Introduzione viene subito esibito il primo tema in mi bemolle maggiore; sulla fanfara orchestrale interviene a sorpresa il «solo» su di un'unica nota (mi bemolle) e su figure arpeggiate, con lo scopo di scaldare il labbro dell'esecutore. Ma già qui Haydn inserisce elementi che germineranno nel prosieguo: compare una melodia discendente cromatica di flauti e archi che ispirerà elementi del secondo gruppo tematico, prima che intervenga, a rompere gli indugi, la spumeggiante frase orchestrale. Con l'esposizione solistica ritorna il tema principale, enunciato dalla tromba e proseguito nella squillante fanfara del gruppo, ma presto una transizione a! tono dì dominante (sì bemolle maggiore) prepara nuovi eventi. È la volta del secondo gruppo tematico, in realtà un meraviglioso mosaico di idee o segmenti che crea una fascia unitaria ma diversa, per carattere, rispetto al primo gruppo. Dopo uno Sviluppo concentrato su varianti modulanti del profilo del primo tema, tutto dominato dal fitto serrato scambio tra tromba e orchestra, la Ripresa non torna testuale, bensì ricca di trovate. Dopo la comparsa del primo tema, ad esempio, la successiva fanfara prosegue con un'inaspettata svolta del discorso in un episodio dì stampo prettamente virtuosistìco. Manca la transizione alla dominante, poiché Haydn, secondo tradizione, mantiene il discorso polarizzato sulla tonica; ciò facendo, riscrive larghi tratti della Ripresa escogitando mutamenti di rotta imprevedibili.
Nel secondo tempo, Andante cantabile, emerge subito con discreta evidenza il calco melodico iniziale del Lied «Gott! Erhalte Franz den Kaiser», che Haydn poco dopo musicò nel celebre Poco Adagio cantabile del Kaiserquartett op. 76 n. 3, il futuro inno austriaco (nel 1797) divenuto poi, dopo varie vicissitudini, inno tedesco. Il clima è di placida contemplazione, con l'orchestra che costruisce un tappeto sonoro di vellutate armonie, mentre la tromba può esprimere il suo canto ispirato dominato dal gusto per la bella vocalità.
Dopo una tale oasi di quiete lirica, l'ultimo tempo, un Allegro nella forma di rondò-sonata, irrompe con spontaneità genuina nel suo trascinante refrain, esposto nella tonica mi bemolle maggiore. Freschezza ritmica ed effervescente comunicatività lo animano e paiono un invito all'orchestra a esporre di seguito anche una seconda idea ancora in tonica, che funziona da primo episodio di umore popolare, concluso da un saltellante incìso. L'attesa per l'entrata del solista si è fatta notevole in questa esposizione così ricca di idee: la tromba attacca la «sua» riesposizione con il ritorno del tema-ritornello, mentre l'orchestra risponde trasportando veloce il discorso al tono di dominante della dominante (fa maggiore, nel ponte modulante), necessario per «lanciare» il secondo episodio. Quest'ultimo è in realtà una riesposizìone del secondo gruppo nel tono di dominante (sì bemolle maggiore), poiché recupera la lìnea motivica. Una volta preso possesso della scena come attore principale, la tromba esibisce il proprio repertorio in tutta libertà e mette in mostra passi più tecnici. Dopo il ritorno ciclico del refrain, il terzo episodio si configura come diretta prosecuzione del refrain stesso, ma con tratti rielaborativi e sapore dunque di sviluppo: qui il calco tematico si rinnova attraverso varianti nelle trasposizioni tonali e nel trattamento orchestrale. Con la Ripresa Haydn ripropone i due gruppi principali, ma nel tono d'impianto dì mi bemolle maggiore, intersecati e sovrapposti alla ciclica ripetizione di refrain ed episodi che confermano la contestuale sovrapposizione di caratteri tra rondò e sonata. Una frase di raccordo precede l'epilogo, ancora costruito attorno al refrain principale, concluso da una decisa coda.
Marino Mora
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Haydn compose questo Concerto nel 1796 per Anton Weidinger, solista di tromba nell'orchestra dell'Opera di corte di Vienna. Weidinger non era solo un virtuoso rinomato ma anche un innovatore della tecnica del suo strumento: aveva infatti realizzato un ingegnoso sistema di chiavi grazie al quale il clarino in mi bemolle (così era propriamente chiamato allora lo strumento) poteva ottenere non solo i suoni armonici naturali ma anche quasi tutta la scala cromatica, e lo aveva ribattezzato organisierte Trompete. Haydn sfruttò queste nuove possibilità con grande dovizia di trovate, lasciando al solista lo spazio di prammatica senza tuttavia rinunciare a dare al Concerto una veste formale equilibrata e compatta, del tutto degna di un congedo dalla maniera sinfonica. Il Concerto per tromba è infatti l'ultima composizione esclusivamente orchestrale di Haydn: dopo sarebbero venute le sei ultime Messe e due grandi oratori, la Creazione e le Stagioni.
Il Concerto si apre secondo tradizione con una introduzione dell'orchestra, preparatoria dell'entrata del solista, che subito si distingue per brillantezza e slancio, eleganza e varietà. Il primo tema presenta un disegno ascendente plasticamente profilato, cui si contrappone un passaggio cromatico discendente, da cui nascerà, abbellito e fiorito da trilli, il secondo tema. Nell'elaborazione dello sviluppo i due temi, come spesso avviene in Haydn, sono trattati in modo da rivelare strette affinità: nell'ordine capiente della forma sonata, il solista ha modo di sbizzarrirsi in prodezze virtuosistiche e in volate di agilità, annunciando così la perentoria affermazione della cadenza, i cui sfavillii si propagano anche nella svelta conclusione del movimento.
Se nell'Allegro iniziale prevaleva l'aspetto della tecnica brillante, nel secondo, Andante, si spiegano le risorse della cantabilità, valorizzate anche timbricamente da una ricerca di colori orchestrali sapientemente integrati nella scrittura e suggestivamente adeguati nel carattere. Il Finale (Allegro) è nella forma del rondò: tornano a brillare i passaggi acrobatici del solista (di nuovo basati sulla novità delle invenzioni cromatiche), sostenuti dall'orchestra con un piglio di inesausta dinamicità.

Sergio Sablich

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia; Roma, Auditorium Parco della musica, 13 Marzo 2010, direttore Antonio Pappano, tromba Omar Tomasoni
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD AM158-2 allegato alla rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Orchestra Filarmonica della Scala, Milano, 25 Giugno 2001, direttore Wolfgang Sawallisch


Franz Joseph[1] Haydn (Rohrau, 31 marzo 1732Vienna, 31 maggio 1809) è stato un compositore e pianista austriaco. Uno dei maggiori compositori del periodo classico, è considerato il "padre" della sinfonia e del quartetto d'archi. Trascorse la maggior parte della sua lunga carriera in Austria, come musicista di corte presso la famiglia Esterházy.



Biografia 


Soprattutto per le prime fasi della vita di Haydn, le notizie più importanti provengono da un abbozzo autobiografico che il compositore scrisse nel 1776 e dalle prime biografie, apparse poco dopo la sua morte. Si tratta in particolare dei seguenti testi:

  • G. A. Greisinger Biographische Notizien über Joseph Haydn, Lipsia 1810
  • A. C. Dies Biographische Nachrichten von Joseph Haydn, Vienna 1810
  • G. Carpani Le Haydine, ovvero, Lettere sulla vita e le opere del celebre maestro Giuseppe Haydn, Padova 1812

Infanzia 



La Cattedrale di Santo Stefano a Vienna



Haydn nacque da famiglia di modeste condizioni nel villaggio austriaco di Rohrau, vicino al confine ungherese. Suo padre, Mathias, era mastro carraio e per qualche tempo ricoprì l'incarico di Marktrichter (sindaco del villaggio); sua madre era cuoca nel castello dei Conti di Harrach.

Mathias Haydn si dilettava a cantare ed a suonare a orecchio l'arpa; la famiglia - secondo i ricordi dello stesso Haydn - era "molto musicale". Il fratello Michael diverrà anch'egli compositore di notevole qualità; meno rilevante il talento di un terzo fratello musicista: Johann Evangelist, che diverrà cantante (tenore). Le capacità musicali del piccolo Franz furono presto riconosciute e nel 1738 gli venne data la possibilità di studiare a Hainburg an der Donau, presso Johann Matthias Franck, un parente maestro di coro. Così, dall'età di sei anni, Franz Joseph Haydn lasciò per sempre la casa paterna.

A Hainburg an der Donau Haydn soffrì non di rado la fame, ma imparò a suonare il clavicembalo e il violino, e cominciò a cantare le parti soliste di soprano nel coro della chiesa. Appena due anni più tardi, Georg von Reutter, direttore musicale dello Stephansdom (Duomo) di Vienna in viaggio in cerca di talenti, fu impressionato dalle doti canore di Haydn, che trovò un posto nella capitale come corista per i nove anni seguenti (gli ultimi quattro in compagnia del fratello Michael).

Il lavoro nella cattedrale non fu molto utile al giovane Haydn né dal punto di vista materiale (continuò a patire occasionalmente la fame) né da quello didattico: Reutter era un compositore abbastanza quotato, ma trascurava i propri compiti di insegnante. La cattedrale di Vienna era comunque un importante centro musicale, e così Haydn poté apprendere e lavorare sulle opere dei maggiori compositori contemporanei.

Giovinezza 

Nel 1749, Haydn dovette abbandonare, dopo la muta della voce, il coro della cattedrale. Rimase a Vienna, ma iniziò per lui un periodo difficile, di grandi ristrettezze economiche, che - secondo i suoi primi biografi - seppe però affrontare con ottimismo. Iniziò a mettere a frutto le sue capacità musicali, suonando a pagamento in feste e serenate, dando alcune lezioni, scrivendo le sue prime composizioni, sia nel genere sacro (il Greisinger ci parla di alcuni mottetti che portò con sé in occasione di una visita al santuario di Mariazell), sia in quello della musica strumentale "di consumo" (serenate, minuetti). Tra gli amici con i quali in questo periodo faceva musica c'era Carl Ditters, destinato anche lui ad un'importante carriera di compositore.

Haydn cercava anche, in tutti i modi, di ampliare le sue basi teoriche e pratiche. Fu fondamentale, in proposito la conoscenza del vecchio e illustre compositore napoletano Nicola Porpora, avvenuta a Vienna quando Porpora era in visita alla città, che lo prese al proprio servizio come accompagnatore al clavicembalo (Porpora dava lezioni di canto) e come "valletto" dandogli in cambio lezioni gratuite. In alcune note autobiografiche del 1776, Haydn scrive: "non componevo in modo corretto fino a che non ebbi la fortuna di apprendere i principi fondamentali della composizione dal signor Nicola Porpora, che era allora a Vienna". La figura del burbero Porpora riaffiora in un ricordo riportato dal Greisinger: "Non mancavano certo gli "asino", "coglione", "birbante", o le gomitate nelle reni, ma non me la prendevo, perché da Porpora appresi molto di canto, di composizione e di italiano". [2]

Un altro aspetto sul quale portano l'attenzione i primi biografi è lo strenuo lavoro autodidattico: fra i testi che studiò successivamente, Haydn tenne in grandissima considerazione il Versuch ueber die wahre Art das Clavier zu spielen, di Carl Philipp Emanuel Bach, il cui primo volume era apparso nel 1753. Di Emanuel Bach conobbe ben presto anche le prime sei sonate per cembalo, che imparò ad eseguire, e soprattutto prese a modello - come altre successive opere di quell'autore - dal punto di vista compositivo [3] Studiò, inoltre, il Gradus ad Parnassum di Fux e Der volkommen Kapellmeister di Mattheson.

Con il progresso delle sue capacità compositive, Haydn poté affrontare la composizione di un'opera. Ciò poté accadere grazie al fortunato incontro con l'attore comico Johann Joseph Felix Kurz, noto col nome d'arte di Bernadon, che recitava al Teatro di Porta Carinzia. Per Bernadon Haydn compose le musiche della commedia Der krumme Teufel (Il diavolo zoppo). L'opera fu data alle scene nel 1753, ma non ebbe molte repliche, perché gli eccessivi contenuti satirici contro personaggi noti fecero sì che le autorità ne ordinassero il ritiro. La musica di questa prima prova teatrale haydniana è andata perduta.

Agli stessi anni risalgono alcune composizioni strumentali significative, anche se è da ritenere poco fondata la notizia che i primi quartetti (conosciuti come op.1) fossero stati composti all'età di diciott'anni (1750). Tale data va spostata di almeno sette anni più avanti [4]. In ogni modo, la fama del giovane musicista andava gradualmente accrescendosi e poté ottenere la protezione di alcune famiglie aristocratiche, che all'epoca era decisiva per la carriera di un compositore. La contessa Thun, dopo aver conosciuto una delle sue composizioni, lo ingaggiò come insegnante di canto e di cembalo. Più tardi il barone Carl Joseph Fürnberg lo raccomandò al conte Karl von Morzin, che nel 1757 gli diede il primo impiego a tempo pieno.

Kapellmeister 


L'incarico di Haydn presso il conte Morzin era quello di maestro di cappella. In questa veste, diresse la piccola orchestra del conte, per la quale scrisse le sue prime sinfonie[5].

Nel 1760, con la sicurezza che gli derivava da un lavoro fisso, Haydn si sposò con Maria Anna Keller (1729-1800), della cui sorella Therese era stato precedentemente innamorato. [6]

A causa di improvvise ristrettezze finanziarie del conte Morzin, Haydn venne licenziato ma trovò subito una nuova sistemazione come assistente maestro di cappella degli Esterházy, una delle famiglie più ricche e importanti degli stati asburgici. Alla morte del maestro di cappella, Gregor Werner, nel 1766, Haydn rilevò il suo posto, seguendo gli Esterházy nelle loro varie residenze. Tra le sue mansioni: scrivere nuove composizioni, dirigere l'orchestra di corte, suonare musica da camera per e con i suoi protettori e allestire rappresentazioni liriche. In ogni caso, nonostante l'impegno notevole, Haydn si considerava fortunato, dato che i principi Paul Anton e Nikolaus I erano raffinati intenditori di musica, che apprezzavano il suo lavoro e gli mettevano a disposizione tutto ciò di cui aveva bisogno.

Durante i quasi trent'anni passati al servizio della famiglia, Haydn compose una mole impressionante di opere, e andò via via affinando il proprio stile. La sua popolarità andava crescendo di conseguenza, e, gradualmente, cominciò a scrivere anche indipendentemente dall'ambiente di corte. Numerose opere di questo periodo (tra cui le sinfonie dalla n. 82 alla n. 87) furono infatti scritte su commissioni esterne.

Attorno al 1781, Haydn strinse amicizia con Wolfgang Amadeus Mozart. Quest'ultimo, ancora giovane, era stato molto influenzato dal collega più anziano, e gli dedicò una serie di quartetti d'archi, pratica molto insolita in un'epoca in cui i dedicatari erano solitamente aristocratici. Si possono ricercare anche radici massoniche nell'amicizia fra i due musicisti, che erano infatti membri della stessa loggia massonica.

Nel 1789, iniziò una relazione platonica ma assai intensa con Maria Anna von Genzinger, moglie del medico personale del principe Nikolaus I Esterházy. La morte prematura di questa, quattro anni dopo, fu un duro colpo per Haydn: se ne può forse sentire un richiamo nelle Variazioni in fa minore per pianoforte (Hob XVII:6), insolitamente drammatiche.

Londra 



Partitura manoscritta di Haydn, conservata al British Museum




Nel 1790, alla morte del principe Nicola, il figlio di Antonio licenziò l'orchestra ma assicurò ad Haydn una pensione. Il compositore, ormai non più giovane, si trovò così libero di accettare un'offerta economicamente vantaggiosa, fattagli dall'impresario Johann Peter Salomon: libero dagli impegni di corte, viaggiare in Inghilterra e dirigere sinfonie con una grande orchestra.

La musica di Haydn era già conosciuta dal pubblico inglese: la capitale aveva un'intensa vita musicale e un mercato editoriale aggiornato e dinamico, ma i due soggiorni inglesi del compositore(1791-1792 e 1794-1795) si tradussero in un successo superiore ad ogni aspettativa. Il pubblico accorreva entusiasta ai suoi concerti. Haydn poté ottenere introiti consistenti, ma anche numerose amicizie, conoscenze e occasioni di vita mondana.

A questo periodo risalgono alcune fra le opere più note di Haydn, anzitutto il suo ultimo gruppo di sinfonie, dette "Londinesi", dal n. 93 al 104, i sei quartetti op. 71 e 74, diverse sonate per pianoforte e un significativo gruppo di trii con pianoforte.

Il periodo londinese, inoltre, mise Haydn a confronto con la permanenza, all'interno della cultura musicale d'oltremanica, del modello esemplare degli oratori di Händel. Da ciò nacque l'ispirazione che - dopo il ritorno a Vienna - lo porterà alla composizione dei due grandi oratori La Creazione (1798) e Le stagioni (1801). I due oratori, inoltre, sono debitori della cultura britannica anche per quel che riguarda il testo. Il libretto del primo, che esiste in versione inglese e nella traduzione tedesca che ne fece il Barone olandese Gottfried van Swieten, è ispirato al grande modello della poesia di ispirazione biblica fornito dal Paradiso Perduto di Milton, quello del secondo (solo in tedesco) è invece imitato dal poema The Seasons dello scozzese James Thomson (1700-1748)[7].

L'unico passo falso nell'avventura londinese fu un'opera, L'anima del filosofo, per la quale ad Haydn fu pagata un'ingente cifra di denaro. Fu cantata solo un'aria e ne furono pubblicati 11 numeri. L'intera opera non fu rappresentata fino al 1950.

Ritorno a Vienna 


Alla fine del Settecento, Haydn prese seriamente in considerazione la possibilità di diventare un cittadino inglese, ma alla fine tornò a Vienna, dove si fece costruire una grande casa e si dedicò alla composizione di grandi opere sacre per coro e orchestra: tra queste i già citati oratori La creazione e Le stagioni, e sei messe per la famiglia Esterházy, che nel frattempo aveva ritrovato l'interesse per la musica. In questo periodo, Haydn scrisse anche gli ultimi nove quartetti per archi. E a dispetto della non più giovane età, esclamò in una lettera "quanto rimane ancora da fare in questa arte meravigliosa!".

Nel 1802 una malattia di cui soffriva da tempo si acuì improvvisamente: al dolore fisico si aggiungeva l'impossibilità di dedicarsi al lavoro di composizione, nonostante la creatività fosse sempre tumultuosa. Durante gli ultimi anni, fu assistito con cura dai suoi servitori, e ricevette abitualmente numerose visite e pubblici riconoscimenti. Morì nel 1809, durante l'occupazione di Vienna da parte delle armate napoleoniche. Secondo la tradizione, le sue ultime parole sono state per tranquillizzare i suoi servitori durante il bombardamento su Vienna delle armate francesi. Napoleone mandò un picchetto d'onore a presenziare alle esequie.

Ottimismo e religione 


Joseph Haydn, secondo le testimonianze dei contemporanei, fu un uomo gioviale e ottimista: se ne può avere riscontro nel sense of humour che anima le sue opere e che spesso si esprime in scherzi e sorprese musicali.

Alla corte degli Eszterházy era particolarmente rispettato, e creò un clima di lavoro estremamente disteso, contribuendo anche a difendere gli interessi economici dei colleghi. La caccia e la pesca erano i suoi passatempi preferiti. Fervente e devoto cattolico, usava vergare Laus Deo o espressioni simili alla fine dei manoscritti, e si dedicava alla preghiera quando le idee musicali stentavano a prendere forma sulla carta.

I dipinti che lo ritraggono sono abbastanza discordi tra loro, e l'unica fonte affidabile per avere un'idea dei suoi tratti somatici è la maschera mortuaria in cera conservata nella sua casa-museo di Vienna. Le informazioni certe sul suo aspetto sono poche: basso di statura (probabilmente per la malnutrizione), divenne calvo in età adulta, e portava in viso i segni del vaiolo. Non bello, si meravigliò molto del successo riscosso a Londra tra il pubblico femminile.

La musica 


Haydn è stato spesso onorato del titolo di "padre della sinfonia"; sebbene l'appellativo sia giustificato solo in parte, poiché esistono precedenti e paralleli importanti sia in Italia sia in Germania, è indubbio che la produzione haydniana contribuì enormemente a riscattare questo genere strumentale dalla subalternità rispetto alla musica vocale, e a dargli una forma ampia, duttile e complessa. Per quanto riguarda il quartetto d'archi, invece, la paternità di Haydn è fuori discussione.

Tramite questi due generi principali (a cui occorre aggiungere l'ampio corpus delle sonate per pianoforte e dei trii con pianoforte), Haydn divenne l'autore più conteso dalla vivace editoria musicale del suo tempo ed il punto di riferimento principale dello stile "classico" di fine Settecento.

Lo sviluppo della forma-sonata in un mezzo espressivo flessibile e sofisticato, fino a diventare il soggetto principale del pensiero musicale dell'età classica, deve moltissimo a Haydn, e a quelli che proseguirono direttamente il suo lavoro.

Inoltre, integrò la fuga nello stile classico, e arricchì il rondò con una logica tonale più coerente e organica. Fu anche il primo compositore a usare estensivamente la tecnica della doppia variazione, ovvero una variazione su due temi alternati, spesso in modo maggiore e minore.

Struttura e carattere 


Caratteristica fondamentale delle opere di Haydn è lo sviluppo di strutture ampie e articolate a partire da motivi brevi e relativamente semplici. Le sue composizioni furono così la base dello sviluppo successivo della tonalità e delle varie forme classiche come la sonata e il quartetto.

La pratica compositiva di Haydn ha le sue radici nel contrappunto modale di Johann Joseph Fux, e allo stesso tempo nell'opera di Gluck e C.P.E. Bach. Di quest'ultimo, Haydn scrisse: "senza di lui, non sappiamo niente". Riguardo alla melodia, predilesse melodie facilmente scomponibili in parti più piccole, da sottoporre a combinazioni contrappuntistiche: in questo, anticipò in qualche modo l'opera beethoveniana.

L'opera di Haydn è però legata quasi per antonomasia alla definizione della forma sonata. Durante il periodo Classico, la musica era dominata dalla tonalità, e le sezioni delle opere erano contrassegnate da passaggi tonali: Haydn si concentrò nella creazione di soluzioni espressive, argute, drammatiche, per condurre le transizioni più importanti fra le varie sezioni di un pezzo, ritardandole, o facendole avvenire di nascosto, ingannando l'ascoltatore.

La forma sonata, che in seguito venne definita formalmente basandosi proprio sull'opera di Haydn, fu di gran lunga la struttura musicale più importante del XIX secolo. Le sue sezioni sono:

  • Introduzione: sezione lenta in tonalità di dominante, non sempre presente, con materiale non direttamente collegato ai temi principali, che evolve rapidamente nella
  • Esposizione: presentazione dei temi, con il primo in tonalità di tonica, e il secondo in tonalità di dominante, oppure - ma più di rado - per le composizioni nel modo maggiore, nella relativa minore (è più frequente che la ripresa sia nella relativa maggiore se la composizione è in minore). A differenza dei suoi successori, Haydn scrisse spesso delle esposizioni in cui il secondo tema era identico o molto simile al primo.
  • Sviluppo: i temi vengono trasformati, frammentati, trasposti, e combinati con altro materiale. In questa sezione, che è la più dinamica e drammatica, si addensano le modulazioni, ossia i passaggi da una tonalità all'altra, che possono portare lontano dalla tonalità di impianto. In generale, gli sviluppi delle composizioni di Haydn tendevano ad essere più lunghi e articolati di quelli di Mozart. Qualora la sezione non sia presente, si parla di sonatina.
  • Ripresa: ritorno alla tonalità originale e ripetizione modificata dell'esposizione: la modifica consiste essenzialmente nel fatto che anche il secondo tema passa alla tonalità di impianto, riducendo così la tensione che ha dato origine alla dinamica della composizione e dando a quest'ultima il senso compiuto di una vicenda, e quasi di una narrazione (beninteso: puramente musicale). Rispetto ai lavori di Mozart e Beethoven, durante la ripresa Haydn invertiva spesso l'ordine dei due temi, ometteva alcuni passaggi dell'esposizione, e introduceva la
  • Coda: eventuale sezione aggiuntiva dopo la chiusura della ricapitolazione, con piccoli sviluppi tematici.

La struttura al tempo stesso rigida e vivace della sonata di Haydn ha influenzato moltissimo le opere di Beethoven: quest'ultimo, con la maturità, passò infatti da uno stile piuttosto discorsivo e disorganico nell'esposizione dei temi, alla rinnovata cura per la forma, con l'uso di temi più brevi e flessibili.

Molta della musica di Haydn è stata scritta per allietare un principe e la sua corte, e il suo tono è di conseguenza tendenzialmente spensierato; questa inclinazione rifletteva probabilmente la personalità equilibrata e allegra del compositore. Le opere in modo minore, spesso estremamente serie e profonde, costituiscono delle fortissime eccezioni alla regola. I movimenti veloci delle opere di Haydn sono travolgenti, specialmente nei finali: alcuni esempi si trovano nella sinfonia n. 104 (London), nel quartetto op. 50 n. 1, e nel trio con pianoforte Hob XV: 27. Con l'arrivare della maturità, i movimenti lenti delle opere di Haydn acquistarono sempre maggiore profondità e complessità, come si può apprezzare per es. nei quartetti op. 76 n. 3 e 5, nella sinfonia n. 102, e nel trio con pianoforte Hob XV: 23. I minuetti, fortemente ritmati, mantennero sempre un carattere gioviale e popolaresco.

Evoluzione dello stile 


Uno sguardo d'insieme sui quasi cinquant'anni di produzione haydniana mostra un graduale e costante aumento di complessità nella forma e nel linguaggio musicale.

Le opere giovanili di Haydn risalgono ad un periodo di grandi cambiamenti, in cui lo stile compositivo del barocco, rappresentato da Johann Sebastian Bach e da Haendel, era ormai al tramonto. Come è stato già ricordato, tra gli autori di riferimento nella sua formazione ci fu Carl Philipp Emanuel Bach, il più geniale ed innovativo tra i figli di Johann Sebastian.

Questa collocazione storica fa di Haydn uno dei grandi esploratori della musica del suo tempo.

Nel gruppo delle prime sinfonie, di ispirazione almeno in parte tardobarocca, merita una menzione il ciclo delle nn. 6, 7 e 8, dal carattere moderatamente descrittivo, ispirate alle parti della giornata (i titoli francesi sono Le Matin, Le Midi e Le Soir). Composte probabilmente nel 1761, sono ricche di momenti concertanti (interventi solistici), di un'accentuata ricerca timbrica e di una grande varietà di situazioni musicali (notevoli per esempio il recitativo ed il duetto strumentali, su modello operistico, nel tempo lento della n. 7).

Tra il 1767 e i primi anni del decennio successivo, Haydn inserì nelle sue opere elementi di maggiore intensità espressiva, soprattutto nei lavori in modo minore: anche se alcuni critici negano la possibile influenza del movimento letterario tedesco, questa fase è stata denominata dello Sturm und Drang.

Alcune opere rilevanti di questo periodo sono le seguenti sinfonie:

  • n. 39 in sol minore, spesso ricordata come modello della "piccola" sinfonia in sol minore (K183) di Mozart,
  • n. 44 in mi minore (nota col titolo, apocrifo e abbondantemente esagerato, di "Trauer", ossia "luttuosa" o "funebre")
  • n. 45 in fa diesis minore (nota come la "Sinfonia degli Addii"),
  • n. 49 in fa minore ("La Passione")

E inoltre la sonata per pianoforte in do minore n. 30 Hob. XVI/20, e i sei quartetti per archi op. 20, risalenti al 1772. Nello stesso periodo, il suo interesse verso il contrappunto andò crescendo, con la scrittura delle fughe che chiudono tre dei quartetti op. 20.

Il crescendo espressivo dello Sturm und Drang fu seguito da un ritorno ad un umore più sereno e giocoso. Nel periodo successivo, Haydn non scrisse nessun quartetto per archi, mentre le sinfonie assunsero nuove caratteristiche: l'inserimento di un'introduzione lenta, e la comparsa di timpani e trombe nelle partiture. Questi cambiamenti riflettevano un cambiamento radicale negli impegni professionali del musicista, che si allontanava dalla "musica pura" per avvicinarsi all'opera buffa. Diverse di queste opere (oggi rappresentate assai di rado) contengono delle ouverture che vennero riciclate come movimenti di sinfonia durante tutti gli anni 1770 e che aiutarono Haydn a mantenere una vasta produzione sinfonica in quel decennio di febbrile attività.

Nel 1779, una modifica importante al contratto di Haydn gli diede la possibilità di pubblicare le sue composizioni senza ricevere l'autorizzazione del suo mecenate. Questa circostanza può avere accelerato il ritorno di Haydn verso la "musica pura": il punto di svolta può essere individuato nella pubblicazione dei sei quartetti per archi op. 33, che nella parole di Haydn erano scritti "in un modo completamente nuovo e speciale". Charles Rosen asserisce che ciò che Haydn dice è assolutamente vero. Egli sottolinea i progressi di Haydn nella tecnica di composizione che appaiono in questi quartetti, progressi che segnano l'avvento, in pieno fulgore, dello stile musicale del periodo classico. Questo stile include vari aspetti: una forma di fraseggio fluida, in cui ogni motivo emerge dal precedente senza interruzione; la pratica di lasciare che il materiale di accompagnamento si evolva in materiale melodico ed un certo "Contrappunto classico", in cui ogni parte strumentale mantiene la sua integrità. Questi aspetti li ritroviamo in molti quartetti che Haydn scrisse dopo l'opera 33.

Nel 1790, stimolato dai frequenti viaggi in Inghilterra, Haydn sviluppò ciò che Rosen chiama lo "stile popolare", un tipo di composizione che, con un successo senza precedenti, creava musica con un grande richiamo popolare mantenendo nel contempo una colta e rigorosa struttura musicale. Un elemento importante dello stile popolare era l'uso frequente di materiali folcloristici. Haydn si prese cura di usare questo stile in momenti musicali appropriati, come i finali delle sonate o l'apertura del tema finale. Collocato in questi punti, il materiale folclorico serve come elemento stabilizzatore, aiutando a fissare una struttura più complessa. Lo stile popolare di Haydn si può sentire praticamente in tutto il suo lavoro degli ultimi anni, comprese le dodici Sinfonie di Londra, gli ultimi quartetti, i trii per piano e gli ultimi due oratori.

Il ritorno a Vienna nel 1795 segnò l'ultima svolta nella carriera di Haydn. Anche se il suo stile musicale era di poco cambiato, lo erano invece le sue intenzioni. Mentre era a servizio di qualche aristocratico, o quando era un indaffarato imprenditore, Haydn scriveva velocemente e copiosamente le sue composizioni dovendo rispettare le frequenti scadenze. Da uomo ricco, il compositore godeva del privilegio di prendere tempo e scrivere per i posteri. Questo atteggiamento si riflette nel soggetto de La Creazione (1798) e Le stagioni (1801), che contengono temi importanti quali il significato della vita e dell'umanità e rappresentano un tentativo di rappresentare il sublime in musica. Le nuove intenzioni di Haydn si riflettevano anche nel fatto che impiegava molto più tempo a scrivere le sue opere: entrambi gli oratori furono composti in più di un anno. Haydn affermò di aver impiegato così tanto a scrivere La Creazione perché voleva farne un'opera che durasse nel tempo.