Libiamo ne' lieti calici è un celebre brindisi in tempo di valzer del primo atto della Traviata di Giuseppe Verdi (scena II). Costituisce uno degli episodi in cui si articola l'introduzione dell'opera ed è intonato da Violetta (soprano), Alfredo (tenore) e dal coro imbottito di seconde parti (Flora, Gastone, il Barone, il Dottore, il Marchese). I versi furono scritti da Francesco Maria Piave.
Egli si presenta come il tuttofare della città, oltre che come barbiere (infatti factotum viene dal latino,
che letteralmente significa "colui che fa qualunque cosa"), vantando la
propria popolarità. Figaro afferma ciò perché a quel tempo i barbieri
non si limitavano a tagliare barbe e capelli, ma esercitavano più
mestieri, tra i quali alcune forme di medicina.
Costituisce un pezzo di bravura per i baritoni, la cui tecnica è messa alla prova dai numerosi scioglilingua, tipici dell'opera buffa, ed è inoltre uno dei pezzi più celebri del repertorio operistico classico.
Testo desunto dallo spartito
Largo al factotum della città.- Largo
Presto a bottega che l'alba è già. - Presto
Ah, che bel vivere, che bel piacere, che bel piacere
per un barbiere di qualità, di qualità!
Ah, bravo Figaro!
Bravo, bravissimo!
Fortunatissimo per verità!
Pronto a far tutto,
la notte e il giorno
sempre d'intorno in giro sta.
Miglior cuccagna per un barbiere,
vita più nobile, no, non si da.
Rasori e pettini
lancette e forbici,
al mio comando
tutto qui sta.
V'è la risorsa,
poi, del mestiere
colla donnetta... col cavaliere...
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono,
donne, ragazzi, vecchi, fanciulle:
Qua la parrucca... Presto la barba...
Qua la sanguigna...
Presto il biglietto...
Qua la parrucca, presto la barba,
Presto il biglietto, ehi!
Figaro! Figaro! Figaro!, ecc.
Ahimè, che furia!
Ahimè, che folla!
Uno alla volta, per carità!
Ehi, Figaro! Son qua.
Figaro qua, Figaro là,
Figaro su, Figaro giù,
Pronto prontissimo son come il fulmine:
sono il factotum della città.
Ah, bravo Figaro! Bravo, bravissimo;
a te fortuna non mancherà.
La prima rappresentazione ebbe luogo il 20 febbraio1816 al Teatro Argentina a Roma
e terminò fra i fischi. A provocarli, secondo i pettegolezzi
dell'epoca, sarebbero stati gli impresari di un teatro concorrente, il Teatro Valle; secondo altri, la colpa fu di alcuni seguaci di Paisiello e della sua versione dell'opera. Il solo annuncio che Rossini stava preparando una nuova versione del Barbiere di Siviglia aveva suscitato non poche polemiche, anche in considerazione del fatto che all'epoca Paisiello era ancora vivo.
Il fiasco della prima fu però riscattato immediatamente dal
successo delle repliche e l'opera di Rossini finì presto per oscurare la
precedente versione di Paisiello, divenendo ad oggi una delle opere più
rappresentate al mondo.
Il contralto Geltrude Righetti Giorgi fu la prima Rosina della storia mentre il ruolo di Almaviva fu affidato al grande tenore spagnolo Manuel García.
Trama
Atto I
Il conte di Almaviva è innamorato della bella Rosina, che abita nella
casa del suo anziano tutore, don Bartolo, a sua volta segretamente
intenzionato a sposarla. Il conte chiede a Figaro, barbiere nonché
"factotum della città", di aiutarlo a conquistare il cuore della
ragazza, alla quale si è presentato sotto il falso nome di Lindoro.
Figaro consiglia al conte di cambiare personalità e fingersi un giovane
soldato, di cui Rosina si dimostra presto interessata grazie anche ad
una bella serenata cantata sotto le finestre della casa del dottore; il
barbiere procura inoltre a Lindoro un foglio che ne attesta la
temporanea residenza in casa di don Bartolo e tenta di allacciare i
rapporti con Rosina. Don Basilio, il maestro di musica della ragazza, sa
della presenza del conte di Almaviva in Siviglia e suggerisce a don
Bartolo di calunniarlo per sminuirne la figura, giunge in casa
sorprendendo Figaro e Rosina. La ragazza aveva già scritto un biglietto
per Lindoro, ma Don Bartolo si accorge che manca un foglio dal taccuino e
striglia Rosina. Secondo i piani, il conte di Almaviva irrompe nella
casa di Don Bartolo fingendosi un soldato ubriaco, ma crea una tale
confusione che arrivano i gendarmi. Quando però il conte si fa
riconoscere di nascosto dall'ufficiale, i soldati si ritirano in buon
ordine, lasciando Don Bartolo esterrefatto. Continua con il Secondo Atto
(Atto ||)
Atto II
Don Bartolo comincia a sospettare riguardo alla vera identità del
giovane soldato. Giunge il sedicente maestro di musica Don Alonso (in
realtà sempre il conte, celato in un nuovo travestimento), che afferma
di essere stato inviato da Don Basilio, rimasto a casa febbricitante, a
sostituirlo nella lezione di canto per Rosina.
Per guadagnare la fiducia del tutore, il finto Don Alonso gli mostra
il biglietto che Rosina gli aveva mandato. Nel frattempo giunge Figaro
con il compito di radere la barba al padrone di casa. Nonostante Figaro
faccia il possibile per coprire la conversazione dei due giovani, Don
Bartolo capta le loro parole e caccia tutti. Con lui resta solo Berta,
la serva, a commiserare il vecchio padrone.
Don Bartolo fa credere a Rosina, mostrandole il biglietto
consegnatogli da Don Alonso, che Lindoro e Figaro si vogliano prendere
gioco di lei, e quest'ultima amareggiata acconsente alle nozze con il
suo tutore, che prontamente fa chiamare il notaio. In quel momento
arriva anche Don Basilio, mentre con una scala Figaro e il Conte entrano
in casa dalla finestra e raggiungono Rosina. Finalmente il conte rivela
la propria identità, per chiarire la situazione e convincere la
fanciulla della sincerità del suo amore.
Don Bartolo ha però fatto togliere la scala e i tre complici si
trovano senza via di fuga. In quel momento sopraggiunge il notaio
chiamato a stendere il contratto delle nozze tra Don Bartolo e Rosina.
Approfittando dell'assenza temporanea del tutore, il conte convince lui e
Don Basilio (dietro congrua ricompensa) a inserire nel contratto il
nome suo in luogo di quello di Don Bartolo. Giunto troppo tardi, a
quest'ultimo resta la magra consolazione di aver risparmiato la dote per
Rosina, che il conte di Almaviva rifiuta. Gli amanti coronano dunque il
loro sogno.
Personaggi e interpreti
ruolo
tipologia vocale
cast della prima, 20 febbraio 1816
(direzione: Gioachino Rossini)
8b Aria alternativa (al posto di A un dottor della mia sorte) Manca un foglio (Bartolo) scritta da Pietro Romani
11b Aria alternativa (al posto di Contro un cor che accende amor) La mia pace, la mia calma (Rosina)
14b Aria (posta dopo il dialogo tra Rosina e don Bartolo) Ma forse, ahimè, Lindoro (Rosina)
Per una rappresentazione a Padova, Rossini riscrisse l'aria Cessa di più resistere per il personaggio di Rosina, che nell'occasione era interpretata da Geltrude Righetti Giorgi
Il film Mrs. Doubtfire (1993) si apre con Robin Williams che canta "Largo al factotum" in uno studio di doppiaggio di cartoni animati.
Il gruppo Elio e le Storie Tese ha interpretato, con abiti dell'epoca, Largo al factotum sul palco del Festival di Sanremo nel 2008 e in concerto, riscontrando un grande consenso del pubblico.
Bibliografia
Marco Beghelli e Nicola Gallino (a cura di), Tutti i libretti di Rossini, Milano, Garzanti, 1991. ISBN 88-11-41059-2
O mio babbino caro è un'aria dell'operaGianni Schicchi (1918) di Giacomo Puccini, su libretto di Giovacchino Forzano. La canta il personaggio di Lauretta, rivolgendosi al padre Gianni Schicchi, quando lo scontro tra questi e la famiglia Donati giunge a un punto tale da mettere a rischio la sua storia d'amore con Rinuccio Donati.
Libretto
O mio babbino caro,
Mi piace è bello, bello;
Vo' andare in Porta Rossa
a comperar l'anello!
Sì, sì, ci voglio andare!
E se l'amassi indarno,
andrei sul Ponte Vecchio,
ma per buttarmi in Arno!
Mi struggo e mi tormento!
O Dio, vorrei morir!
Babbo, pietà, pietà!...
La grande Maria Callas interpreta O mio babbino caro
Si tratta di uno dei versi più celebri dell'intera opera dantesca e,
pertanto, è uno dei versi più importanti in assoluto nella storia della
letteratura italiana.
Questo si trova nella posizione centrale di una doppia Anafora, costituita da tre versi celeberrimi:
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende v. 100
Amor, ch'a nullo amato amar perdona v. 103
Amor condusse noi ad una morte: v. 106
Inoltre il verso centrale racchiude tre volte la parola Amore, donando così all'anafora una struttura simmetrica che ha contribuito ad attirare l'attenzione dei lettori danteschi.
La storia
Il canto che lo contiene, il quinto, è in gran parte dedicato alla figura di Francesca da Rimini, amante di Paolo Malatesta e sposata con il fratello di lui, Gianciotto.
La storia dice che il marito di lei scoprirà il tradimento e li
ucciderà entrambi. Per questo motivo le anime dei due amanti sono state
confinate nel secondo girone infernale, quello dei peccatori carnali, ed
inseriti nella schiera dei morti per amore, quella di Didone.
Il verso appartiene al primo intervento di Francesca e narra del
perché lei si innamorò di Paolo. Come altri versi del canto, si presta a
molteplici letture, che Dante aveva assai probabilmente ben presenti:
Da una parte è enfatizzata la forza travolgente dell'amore, la quale
(come già hanno detto in molti) non consente ad una persona che sia
davvero amata di non ricambiare (e questo spiega l'attrazione tra Paolo e
Francesca);
L'amore (consacrato in un matrimonio, come quello di Francesca) non perdona e non permette di amare altri;
L'amore è dunque, nell'universo dantesco, qualcosa di complesso che
non si può ridurre al solo "amor cortese" in quanto pone delle
contraddizioni naturali che portano ad esiti anche tragici, tanto che è
lei a dire Amor condusse noi ad una morte.
A Francesca il sacramento del matrimonio non permetterebbe di amare
altri se non suo marito. Lo stesso Amore però non le permette di non
riamare e non ricambiare il sincero sentimento di Paolo (cosa che
porterà entrambi ad "una morte" ed alla dannazione eterna).
Proprio questa contraddizione tra precetto religioso e forza
travolgente dell'amore, espressa in forma così alta e rarefatta, spiega
la pietà di Dante per i due "peccatori".
Il poeta non si comporta da moralista, semplicemente descrive la
tragicità del conflitto tra morale e passione, che sono due forze
invincibili.
E così sia pure colloca Paolo e Francesca tra i dannati, non può fare
a meno di provare un senso di profonda ed umana pietà e di compiangerne
la sorte.
Senso letterale
Amor, ch'a nullo amato amar perdona
Amor: è il soggetto del verso e costituisce una cosiddetta
figura Etimologica, o Annominazione, poiché vi sono tre parole nel verso
che hanno la stessa origine etimologica: Amor, amato, amar.
ch: che, ovvero il quale si riferisce ad Amor: il quale amor.
a nullo: nullo deriva dal latino nullus, che significa
nessuno. Qui nasce una doppia interpretazione poiché "a nullo" in latino
significa "da nessuno", mentre se si considera solo "nullo" preso dal
latino la traduzione diventa "a nessuno". Quest'ultima è
l'interpretazione più frequente.
Amato: si riferisce a "nullo", per cui nel senso comune "a nullo amato" significa "a nessuno che è amato".
Amar perdona: l'amore perdona l'amare, ma poiché si riferisce a nessuno (nullo) in realtà significa "a nessuno perdona l'amare".
Riassumendo l'esegesi corrente è: "L'amore, che a nessuno perdona, se
amato, di riamare" "L'Amore, che obbliga chi è amato ad amare a sua
volta".
Ben noto a tutti i trombettisti, per i quali insieme al
Concerto di
Hummel rappresenta un banco di prova obbligatorio, il Concerto per
tromba e orchestra in mi bemolle maggiore di Joseph Haydn non
è solo uno dei vertici dell'intero repertorio per tromba
solista, ma ricopre al suo interno un ruolo decisivo nello sviluppo
della tecnica strumentale. Fu infatti scritto, nel 1796, su misura per
la nuova tromba a chiavi messa a punto da Anton Weidinger, amico di
Haydn e trombettiere dell'esercito imperiale viennese. Weidinger aveva
cominciato a lavorare sull'inedito meccanismo tre anni prima:
diversamente
dalla tromba "naturale" (la cosiddetta tromba clarino) fino ad allora
in uso, il nuovo strumento disponeva ora di un sistema di quattro leve
(o "chiavi") per aprire e chiudere agevolmente i fori. Questo
permetteva di poter suonare, anche velocemente, tutti i semitoni della
scala cromatica a partire dal mi bemolle, per un'estensione di oltre
due ottave. Una vera svolta che avrebbe portato rapidamente alla
moderna tromba a pistoni.
All'interno del cospicuo catalogo haydniano il Concerto
per tromba
rappresenta l'ultimo lavoro per strumento solista e orchestra
nonché, a un anno esatto dalla Sinfonia "London",
l'ultimo lavoro puramente strumentale, concepito per un
organico decisamente "sinfonico" con una sezione di fiati che oltre
alla consueta coppia di flauti, oboi, corni e fagotti, conta anche due
trombe più i timpani. Malgrado tale generosità
timbrica, per il Robbins Landon il Concerto è "l'opera meno
riuscita della vecchiaia"; d'altra parte, aggiunge, "Haydn non fu mai
completamente a suo agio con la forma del Concerto", salvo
infine riconoscere che si tratta comunque della "più bella
composizione del genere", impensabile in tutta la precedente
carriera di Haydn se non fosse stato per l'invenzione di Weidinger che,
peraltro, non suonò in pubblico la composizione
pri¬ma del marzo del 1800, probabilmente per problemi tecnici
di messa a punto.
Formalmente Haydn non si pone particolari problemi e
adotta
tranquillamente lo stereotipo tripartito, con alcuni debiti verso il
Mozart dei Concerti per pianoforte e orchestra più
maturi. Nell'Allegro gli archi introducono il primo tema, dall'incedere
sommesso ma scorrevole, che lascia subito filtrare echi
militareschi. L'entrata della tromba ne ricalca il profilo,
giocando subito su quello che all'epoca doveva essere un
effetto sorpresa facendo intonare al solista figurazioni
diatoniche e cromatiche che non sarebbero state possibili su una tromba
naturale in mi bemolle, soffermandosi poi di preferenza su fraseggi
legati. Passaggi ritmicamente più veloci ed esercizi
cromatici fanno la loro comparsa nella fase di sviluppo,
culminante in una cadenza che permette alla tromba di svettare
in tutta la sua inedita brillantezza, sfoggiando
abilità nel l'affrontare registri contrastanti, rapide
progressioni e volatine diatoniche. Nel secondo movimento (Andante
cantabile) è facile riconoscere l'avvio di quello che l'anno
successivo (1797), plasmato dallo stesso Haydn, diventerà
l'inno nazionale austriaco. Il vero motivo di interesse di
questa breve oasi serena sono però le ampie arcate
melodiche, di notevole impegno per il solista, disegnate sopra un
caratteristico andamento lirico "alla siciliana"; soprattutto incisive,
e quasi compiaciute nella loro dilatazione, appaiono ora le figurazioni
cromatiche, mentre i delicati sforzando in controtempo
riportano alla mente analoghi passaggi nel movimento lento
della Sinfonia "London".
Il concerto si chiude quindi con un vispo Allegro in
forma di
Rondò. Haydn recupera qui la sua identità
stilistica con artifìci contrappuntistici in chiave giocosa,
lasciando libera la tromba di eseguire in scioltezza gli ampi salti
melodici e le rapide figurazioni che caratterizzano i vari
eprsodi.
Composto nel 1796 dopo il rientro a Vienna dal secondo
soggiorno londinese, il Concerto
per tromba e orchestra di Franz Joseph Haydn fu pensato ad
hoc per il trombettista di corte Anton Weidinger, l'ideatore della
tromba a chiavi (la «tromba organizzata»), una
nuova invenzione risalente a pochi anni prima. Con questo strumento,
una via di mezzo tra la tromba naturale e quella a pistoni, che
prevedeva l'aggiunta di alcune chiavi simili a quelle dei legni, era
possibile utilizzare tutte le note della scala cromatica, anche nei
registri più gravi, allargando quindi la gamma di suoni
disponibili. La comparsa della tromba di Weidinger interessò
il pubblico e catturò la fantasia di molti compositori, come
Sussmayr, Kozeluch, Kauer, Hummel, tanto che nacquero molte pagine di
buona musica per il nuovo modello di tromba. Dal punto di vista
stilistico il Concerto
haydniano affonda le proprie radici in pieno Settecento, e pare voler
concludere nel migliore dei modi la tradizione di un'epoca che aveva
prodotto, tra l'altro, il capolavoro del Concerto per due trombe
di Vivaldi. Pensiamo alle influenze dell'opera buffa, italiana,
così visibili nell'ironia e nel vis comica dell'ultimo tempo
(Finale. Allegro),
dominato da un vitalismo sfrenato e da notevole vivacità
melodica. Ma anche nel primo movimento, Allegro, la tromba
mostra una brillantezza sonora spiccata, ben sostenuta da un'orchestra
che duetta con disinvoltura. Nell'Introduzione viene subito esibito il
primo tema in mi bemolle maggiore; sulla fanfara orchestrale interviene
a sorpresa il «solo» su di un'unica nota (mi
bemolle) e su figure arpeggiate, con lo scopo di scaldare il labbro
dell'esecutore. Ma già qui Haydn inserisce elementi che
germineranno nel prosieguo: compare una melodia discendente cromatica
di flauti e archi che ispirerà elementi del secondo gruppo
tematico, prima che intervenga, a rompere gli indugi, la spumeggiante
frase orchestrale. Con l'esposizione solistica ritorna il tema
principale, enunciato dalla tromba e proseguito nella squillante
fanfara del gruppo, ma presto una transizione a! tono dì
dominante (sì bemolle maggiore) prepara nuovi eventi.
È la volta del secondo gruppo tematico, in realtà
un meraviglioso mosaico di idee o segmenti che crea una fascia unitaria
ma diversa, per carattere, rispetto al primo gruppo. Dopo uno Sviluppo
concentrato su varianti modulanti del profilo del primo tema, tutto
dominato dal fitto serrato scambio tra tromba e orchestra, la Ripresa
non torna testuale, bensì ricca di trovate. Dopo la comparsa
del primo tema, ad esempio, la successiva fanfara prosegue con
un'inaspettata svolta del discorso in un episodio dì stampo
prettamente virtuosistìco. Manca la transizione alla
dominante, poiché Haydn, secondo tradizione, mantiene il
discorso polarizzato sulla tonica; ciò facendo, riscrive
larghi tratti della Ripresa escogitando mutamenti di rotta
imprevedibili.
Nel secondo tempo, Andante
cantabile, emerge subito con discreta evidenza il calco
melodico iniziale del Lied «Gott! Erhalte Franz den Kaiser»,
che Haydn poco dopo musicò nel celebre Poco Adagio cantabile del
Kaiserquartett op. 76 n. 3, il futuro inno austriaco (nel
1797) divenuto poi, dopo varie vicissitudini, inno tedesco. Il clima
è di placida contemplazione, con l'orchestra che costruisce
un tappeto sonoro di vellutate armonie, mentre la tromba può
esprimere il suo canto ispirato dominato dal gusto per la bella
vocalità.
Dopo una tale oasi di quiete lirica, l'ultimo tempo, un Allegro nella forma
di rondò-sonata, irrompe con spontaneità genuina
nel suo trascinante refrain,
esposto nella tonica mi bemolle maggiore. Freschezza ritmica ed
effervescente comunicatività lo animano e paiono un invito
all'orchestra a esporre di seguito anche una seconda idea ancora in
tonica, che funziona da primo episodio di umore popolare, concluso da
un saltellante incìso. L'attesa per l'entrata del solista si
è fatta notevole in questa esposizione così ricca
di idee: la tromba attacca la «sua» riesposizione
con il ritorno del tema-ritornello, mentre l'orchestra risponde
trasportando veloce il discorso al tono di dominante della dominante
(fa maggiore, nel ponte modulante), necessario per
«lanciare» il secondo episodio. Quest'ultimo
è in realtà una riesposizìone del
secondo gruppo nel tono di dominante (sì bemolle maggiore),
poiché recupera la lìnea motivica. Una volta
preso possesso della scena come attore principale, la tromba esibisce
il proprio repertorio in tutta libertà e mette in mostra
passi più tecnici. Dopo il ritorno ciclico del refrain, il terzo
episodio si configura come diretta prosecuzione del refrain stesso, ma
con tratti rielaborativi e sapore dunque di sviluppo: qui il calco
tematico si rinnova attraverso varianti nelle trasposizioni tonali e
nel trattamento orchestrale. Con la Ripresa Haydn ripropone i due
gruppi principali, ma nel tono d'impianto dì mi bemolle
maggiore, intersecati e sovrapposti alla ciclica ripetizione di refrain ed episodi
che confermano la contestuale sovrapposizione di caratteri tra
rondò e sonata. Una frase di raccordo precede l'epilogo,
ancora costruito attorno al refrain principale, concluso da una decisa
coda.
Haydn compose questo Concerto nel 1796 per Anton
Weidinger, solista di tromba nell'orchestra dell'Opera di corte di
Vienna. Weidinger non era solo un virtuoso rinomato ma anche un
innovatore della tecnica del suo strumento: aveva infatti realizzato un
ingegnoso sistema di chiavi grazie al quale il clarino in mi bemolle
(così era propriamente chiamato allora lo strumento) poteva
ottenere non solo i suoni armonici naturali ma anche quasi tutta la
scala cromatica, e lo aveva ribattezzato organisierte Trompete.
Haydn
sfruttò queste nuove possibilità con grande
dovizia di trovate, lasciando al solista lo spazio di prammatica senza
tuttavia rinunciare a dare al Concerto una veste formale equilibrata e
compatta, del tutto degna di un congedo dalla maniera sinfonica. Il
Concerto per tromba è infatti l'ultima composizione
esclusivamente orchestrale di Haydn: dopo sarebbero venute le sei
ultime Messe e due grandi oratori, la Creazione e le Stagioni.
Il Concerto si apre secondo tradizione con una
introduzione dell'orchestra, preparatoria dell'entrata del solista, che
subito si distingue per brillantezza e slancio, eleganza e
varietà. Il primo tema presenta un disegno ascendente
plasticamente profilato, cui si contrappone un passaggio cromatico
discendente, da cui nascerà, abbellito e fiorito da trilli,
il secondo tema. Nell'elaborazione dello sviluppo i due temi, come
spesso avviene in Haydn, sono trattati in modo da rivelare strette
affinità: nell'ordine capiente della forma sonata, il
solista ha modo di sbizzarrirsi in prodezze virtuosistiche e in volate
di agilità, annunciando così la perentoria
affermazione della cadenza, i cui sfavillii si propagano anche nella
svelta conclusione del movimento.
Se nell'Allegro iniziale prevaleva l'aspetto della
tecnica brillante, nel secondo, Andante, si spiegano le risorse della
cantabilità, valorizzate anche timbricamente da una ricerca
di colori orchestrali sapientemente integrati nella scrittura e
suggestivamente adeguati nel carattere. Il Finale (Allegro)
è nella forma del rondò: tornano a brillare i
passaggi acrobatici del solista (di nuovo basati sulla
novità delle invenzioni cromatiche), sostenuti
dall'orchestra con un piglio di inesausta dinamicità.
Sergio Sablich
(1)Testo tratto dal
programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia; Roma,
Auditorium Parco della musica, 13 Marzo 2010, direttore
Antonio Pappano, tromba Omar Tomasoni (2)Testo tratto dal
libretto inserito nel CD AM158-2 allegato alla rivista Amadeus (3)Testo tratto dal
programma di sala del Concerto dell'Orchestra Filarmonica della Scala,
Milano, 25 Giugno 2001, direttore Wolfgang Sawallisch
Soprattutto per le prime fasi della vita di Haydn, le notizie più
importanti provengono da un abbozzo autobiografico che il compositore
scrisse nel 1776 e dalle prime biografie, apparse poco dopo la sua morte. Si tratta in particolare dei seguenti testi:
G. A. Greisinger Biographische Notizien über Joseph Haydn, Lipsia1810
A. C. Dies Biographische Nachrichten von Joseph Haydn, Vienna1810
G. CarpaniLe Haydine, ovvero, Lettere sulla vita e le opere del celebre maestro Giuseppe Haydn, Padova1812
Haydn nacque da famiglia di modeste condizioni nel villaggio austriaco di Rohrau, vicino al confine ungherese. Suo padre, Mathias, era mastro carraio e per qualche tempo ricoprì l'incarico di Marktrichter (sindaco del villaggio); sua madre era cuoca nel castello dei Conti di Harrach.
Mathias Haydn si dilettava a cantare ed a suonare a orecchio l'arpa;
la famiglia - secondo i ricordi dello stesso Haydn - era "molto
musicale". Il fratello Michael diverrà anch'egli compositore di notevole qualità; meno rilevante il talento di un terzo fratello musicista: Johann Evangelist, che diverrà cantante (tenore). Le capacità musicali del piccolo Franz furono presto riconosciute e nel 1738 gli venne data la possibilità di studiare a Hainburg an der Donau,
presso Johann Matthias Franck, un parente maestro di coro. Così,
dall'età di sei anni, Franz Joseph Haydn lasciò per sempre la casa
paterna.
A Hainburg an der Donau Haydn soffrì non di rado la fame, ma imparò a suonare il clavicembalo e il violino, e cominciò a cantare le parti soliste di soprano nel coro della chiesa. Appena due anni più tardi, Georg von Reutter, direttore musicale dello Stephansdom (Duomo) di Vienna
in viaggio in cerca di talenti, fu impressionato dalle doti canore di
Haydn, che trovò un posto nella capitale come corista per i nove anni
seguenti (gli ultimi quattro in compagnia del fratello Michael).
Il lavoro nella cattedrale non fu molto utile al giovane Haydn né dal
punto di vista materiale (continuò a patire occasionalmente la fame) né
da quello didattico: Reutter era un compositore abbastanza quotato, ma
trascurava i propri compiti di insegnante. La cattedrale
di Vienna era comunque un importante centro musicale, e così Haydn poté
apprendere e lavorare sulle opere dei maggiori compositori
contemporanei.
Giovinezza
Nel 1749,
Haydn dovette abbandonare, dopo la muta della voce, il coro della
cattedrale. Rimase a Vienna, ma iniziò per lui un periodo difficile, di
grandi ristrettezze economiche, che - secondo i suoi primi biografi -
seppe però affrontare con ottimismo. Iniziò a mettere a frutto le sue
capacità musicali, suonando a pagamento in feste e serenate, dando
alcune lezioni, scrivendo le sue prime composizioni, sia nel genere
sacro (il Greisinger ci parla di alcuni mottetti che portò con sé in
occasione di una visita al santuario di Mariazell), sia in quello della
musica strumentale "di consumo" (serenate, minuetti). Tra gli amici con i
quali in questo periodo faceva musica c'era Carl Ditters, destinato anche lui ad un'importante carriera di compositore.
Haydn cercava anche, in tutti i modi, di ampliare le sue basi
teoriche e pratiche. Fu fondamentale, in proposito la conoscenza del
vecchio e illustre compositore napoletano Nicola Porpora,
avvenuta a Vienna quando Porpora era in visita alla città, che lo prese
al proprio servizio come accompagnatore al clavicembalo (Porpora dava
lezioni di canto) e come "valletto" dandogli in cambio lezioni gratuite.
In alcune note autobiografiche del 1776,
Haydn scrive: "non componevo in modo corretto fino a che non ebbi la
fortuna di apprendere i principi fondamentali della composizione dal
signor Nicola Porpora, che era allora a Vienna". La figura del burbero
Porpora riaffiora in un ricordo riportato dal Greisinger: "Non mancavano
certo gli "asino", "coglione", "birbante", o le gomitate nelle reni, ma
non me la prendevo, perché da Porpora appresi molto di canto, di
composizione e di italiano". [2]
Un altro aspetto sul quale portano l'attenzione i primi biografi è lo
strenuo lavoro autodidattico: fra i testi che studiò successivamente,
Haydn tenne in grandissima considerazione il Versuch ueber die wahre Art das Clavier zu spielen, di Carl Philipp Emanuel Bach, il cui primo volume era apparso nel 1753.
Di Emanuel Bach conobbe ben presto anche le prime sei sonate per
cembalo, che imparò ad eseguire, e soprattutto prese a modello - come
altre successive opere di quell'autore - dal punto di vista compositivo [3] Studiò, inoltre, il Gradus ad Parnassum di Fux e Der volkommen Kapellmeister di Mattheson.
Con il progresso delle sue capacità compositive, Haydn poté
affrontare la composizione di un'opera. Ciò poté accadere grazie al
fortunato incontro con l'attore comico Johann Joseph Felix Kurz, noto
col nome d'arte di Bernadon, che recitava al Teatro di Porta Carinzia.
Per Bernadon Haydn compose le musiche della commedia Der krumme Teufel (Il diavolo zoppo). L'opera fu data alle scene nel 1753,
ma non ebbe molte repliche, perché gli eccessivi contenuti satirici
contro personaggi noti fecero sì che le autorità ne ordinassero il
ritiro. La musica di questa prima prova teatrale haydniana è andata
perduta.
Agli stessi anni risalgono alcune composizioni strumentali
significative, anche se è da ritenere poco fondata la notizia che i
primi quartetti (conosciuti come op.1) fossero stati composti all'età di
diciott'anni (1750). Tale data va spostata di almeno sette anni più avanti [4].
In ogni modo, la fama del giovane musicista andava gradualmente
accrescendosi e poté ottenere la protezione di alcune famiglie
aristocratiche, che all'epoca era decisiva per la carriera di un
compositore. La contessa Thun, dopo aver conosciuto una delle sue
composizioni, lo ingaggiò come insegnante di canto e di cembalo. Più
tardi il barone Carl Joseph Fürnberg lo raccomandò al conte Karl von
Morzin, che nel 1757 gli diede il primo impiego a tempo pieno.
Kapellmeister
L'incarico di Haydn presso il conte Morzin era quello di maestro di cappella. In questa veste, diresse la piccola orchestra del conte, per la quale scrisse le sue prime sinfonie[5].
Nel 1760, con la sicurezza che gli derivava da un lavoro fisso, Haydn si sposò con Maria Anna Keller (1729-1800), della cui sorella Therese era stato precedentemente innamorato. [6]
A causa di improvvise ristrettezze finanziarie del conte Morzin,
Haydn venne licenziato ma trovò subito una nuova sistemazione come
assistente maestro di cappella degli Esterházy, una delle famiglie più ricche e importanti degli stati asburgici. Alla morte del maestro di cappella, Gregor Werner, nel 1766,
Haydn rilevò il suo posto, seguendo gli Esterházy nelle loro varie
residenze. Tra le sue mansioni: scrivere nuove composizioni, dirigere
l'orchestra di corte, suonare musica da camera per e con i suoi
protettori e allestire rappresentazioni liriche. In ogni caso,
nonostante l'impegno notevole, Haydn si considerava fortunato, dato che i
principi Paul Anton e Nikolaus I erano raffinati intenditori di musica,
che apprezzavano il suo lavoro e gli mettevano a disposizione tutto ciò
di cui aveva bisogno.
Durante i quasi trent'anni passati al servizio della famiglia, Haydn
compose una mole impressionante di opere, e andò via via affinando il
proprio stile. La sua popolarità andava crescendo di conseguenza, e,
gradualmente, cominciò a scrivere anche indipendentemente dall'ambiente
di corte. Numerose opere di questo periodo (tra cui le sinfonie dalla n.
82 alla n. 87) furono infatti scritte su commissioni esterne.
Attorno al 1781, Haydn strinse amicizia con Wolfgang Amadeus Mozart.
Quest'ultimo, ancora giovane, era stato molto influenzato dal collega
più anziano, e gli dedicò una serie di quartetti d'archi, pratica molto
insolita in un'epoca in cui i dedicatari erano solitamente
aristocratici. Si possono ricercare anche radici massoniche nell'amicizia fra i due musicisti, che erano infatti membri della stessa loggia massonica.
Nel 1789,
iniziò una relazione platonica ma assai intensa con Maria Anna von
Genzinger, moglie del medico personale del principe Nikolaus I
Esterházy. La morte prematura di questa, quattro anni dopo, fu un duro
colpo per Haydn: se ne può forse sentire un richiamo nelle Variazioni in
fa minore per pianoforte (Hob XVII:6), insolitamente drammatiche.
Londra
Partitura manoscritta di Haydn, conservata al British Museum
Nel 1790,
alla morte del principe Nicola, il figlio di Antonio licenziò
l'orchestra ma assicurò ad Haydn una pensione. Il compositore, ormai non
più giovane, si trovò così libero di accettare un'offerta
economicamente vantaggiosa, fattagli dall'impresario Johann Peter
Salomon: libero dagli impegni di corte, viaggiare in Inghilterra e dirigere sinfonie con una grande orchestra.
La musica di Haydn era già conosciuta dal pubblico inglese: la
capitale aveva un'intensa vita musicale e un mercato editoriale
aggiornato e dinamico, ma i due soggiorni inglesi del compositore(1791-1792 e 1794-1795)
si tradussero in un successo superiore ad ogni aspettativa. Il pubblico
accorreva entusiasta ai suoi concerti. Haydn poté ottenere introiti
consistenti, ma anche numerose amicizie, conoscenze e occasioni di vita
mondana.
A questo periodo risalgono alcune fra le opere più note di Haydn,
anzitutto il suo ultimo gruppo di sinfonie, dette "Londinesi", dal n. 93
al 104, i sei quartetti op. 71 e 74, diverse sonate per pianoforte e un
significativo gruppo di trii con pianoforte.
Il periodo londinese, inoltre, mise Haydn a confronto con la
permanenza, all'interno della cultura musicale d'oltremanica, del
modello esemplare degli oratori di Händel. Da ciò nacque l'ispirazione che - dopo il ritorno a Vienna - lo porterà alla composizione dei due grandi oratori La Creazione (1798) e Le stagioni (1801).
I due oratori, inoltre, sono debitori della cultura britannica anche
per quel che riguarda il testo. Il libretto del primo, che esiste in
versione inglese e nella traduzione tedesca che ne fece il Barone olandese Gottfried van Swieten, è ispirato al grande modello della poesia di ispirazione biblica fornito dal Paradiso Perduto di Milton, quello del secondo (solo in tedesco) è invece imitato dal poema The Seasons dello scozzese James Thomson (1700-1748)[7].
L'unico passo falso nell'avventura londinese fu un'opera, L'anima del filosofo,
per la quale ad Haydn fu pagata un'ingente cifra di denaro. Fu cantata
solo un'aria e ne furono pubblicati 11 numeri. L'intera opera non fu
rappresentata fino al 1950.
Ritorno a Vienna
Alla fine del Settecento, Haydn prese seriamente in considerazione la possibilità di diventare un cittadino inglese,
ma alla fine tornò a Vienna, dove si fece costruire una grande casa e
si dedicò alla composizione di grandi opere sacre per coro e orchestra:
tra queste i già citati oratori La creazione e Le stagioni, e sei messe per la famiglia Esterházy, che nel frattempo aveva ritrovato l'interesse per la musica.
In questo periodo, Haydn scrisse anche gli ultimi nove quartetti per
archi. E a dispetto della non più giovane età, esclamò in una lettera
"quanto rimane ancora da fare in questa arte meravigliosa!".
Nel 1802
una malattia di cui soffriva da tempo si acuì improvvisamente: al
dolore fisico si aggiungeva l'impossibilità di dedicarsi al lavoro di
composizione, nonostante la creatività fosse sempre tumultuosa. Durante
gli ultimi anni, fu assistito con cura dai suoi servitori, e ricevette
abitualmente numerose visite e pubblici riconoscimenti. Morì nel 1809, durante l'occupazione di Vienna da parte delle armate napoleoniche.
Secondo la tradizione, le sue ultime parole sono state per
tranquillizzare i suoi servitori durante il bombardamento su Vienna
delle armate francesi. Napoleone mandò un picchetto d'onore a presenziare alle esequie.
Ottimismo e religione
Joseph Haydn, secondo le testimonianze dei contemporanei, fu un uomo gioviale e ottimista: se ne può avere riscontro nel sense of humour che anima le sue opere e che spesso si esprime in scherzi e sorprese musicali.
Alla corte degli Eszterházy era particolarmente rispettato, e creò un
clima di lavoro estremamente disteso, contribuendo anche a difendere
gli interessi economici dei colleghi. La caccia e la pesca erano i suoi passatempi preferiti. Fervente e devoto cattolico, usava vergare Laus Deo o espressioni simili alla fine dei manoscritti, e si dedicava alla preghiera quando le idee musicali stentavano a prendere forma sulla carta.
I dipinti che lo ritraggono sono abbastanza discordi tra loro, e
l'unica fonte affidabile per avere un'idea dei suoi tratti somatici è la
maschera mortuaria in cera
conservata nella sua casa-museo di Vienna. Le informazioni certe sul
suo aspetto sono poche: basso di statura (probabilmente per la
malnutrizione), divenne calvo in età adulta, e portava in viso i segni
del vaiolo. Non bello, si meravigliò molto del successo riscosso a Londra tra il pubblico femminile.
La musica
Haydn è stato spesso onorato del titolo di "padre della sinfonia";
sebbene l'appellativo sia giustificato solo in parte, poiché esistono
precedenti e paralleli importanti sia in Italia sia in Germania, è
indubbio che la produzione haydniana contribuì enormemente a riscattare
questo genere strumentale dalla subalternità rispetto alla musica vocale, e a dargli una forma ampia, duttile e complessa. Per quanto riguarda il quartetto d'archi, invece, la paternità di Haydn è fuori discussione.
Tramite questi due generi principali (a cui occorre aggiungere l'ampio corpus
delle sonate per pianoforte e dei trii con pianoforte), Haydn divenne
l'autore più conteso dalla vivace editoria musicale del suo tempo ed il
punto di riferimento principale dello stile "classico" di fine Settecento.
Lo sviluppo della forma-sonata
in un mezzo espressivo flessibile e sofisticato, fino a diventare il
soggetto principale del pensiero musicale dell'età classica, deve
moltissimo a Haydn, e a quelli che proseguirono direttamente il suo
lavoro.
Inoltre, integrò la fuga nello stile classico, e arricchì il rondò
con una logica tonale più coerente e organica. Fu anche il primo
compositore a usare estensivamente la tecnica della doppia variazione,
ovvero una variazione su due temi alternati, spesso in modo maggiore e
minore.
Struttura e carattere
Caratteristica fondamentale delle opere di Haydn è lo sviluppo di
strutture ampie e articolate a partire da motivi brevi e relativamente
semplici. Le sue composizioni furono così la base dello sviluppo
successivo della tonalità e delle varie forme classiche come la sonata e il quartetto.
La pratica compositiva di Haydn ha le sue radici nel contrappuntomodale di Johann Joseph Fux, e allo stesso tempo nell'opera di Gluck e C.P.E. Bach. Di quest'ultimo, Haydn scrisse: "senza di lui, non sappiamo niente". Riguardo alla melodia,
predilesse melodie facilmente scomponibili in parti più piccole, da
sottoporre a combinazioni contrappuntistiche: in questo, anticipò in
qualche modo l'opera beethoveniana.
L'opera di Haydn è però legata quasi per antonomasia alla definizione della forma sonata.
Durante il periodo Classico, la musica era dominata dalla tonalità, e
le sezioni delle opere erano contrassegnate da passaggi tonali: Haydn si
concentrò nella creazione di soluzioni espressive, argute, drammatiche,
per condurre le transizioni più importanti fra le varie sezioni di un
pezzo, ritardandole, o facendole avvenire di nascosto, ingannando
l'ascoltatore.
La forma sonata, che in seguito venne definita formalmente basandosi
proprio sull'opera di Haydn, fu di gran lunga la struttura musicale più
importante del XIX secolo. Le sue sezioni sono:
Introduzione:
sezione lenta in tonalità di dominante, non sempre presente, con
materiale non direttamente collegato ai temi principali, che evolve
rapidamente nella
Esposizione: presentazione dei temi, con il primo in tonalità di
tonica, e il secondo in tonalità di dominante, oppure - ma più di rado -
per le composizioni nel modo maggiore, nella relativa minore (è più
frequente che la ripresa sia nella relativa maggiore se la composizione è
in minore). A differenza dei suoi successori, Haydn scrisse spesso
delle esposizioni in cui il secondo tema era identico o molto simile al
primo.
Sviluppo: i temi vengono trasformati, frammentati, trasposti, e
combinati con altro materiale. In questa sezione, che è la più dinamica e
drammatica, si addensano le modulazioni, ossia i passaggi da una
tonalità all'altra, che possono portare lontano dalla tonalità di
impianto. In generale, gli sviluppi delle composizioni di Haydn tendevano ad essere più lunghi e articolati di quelli di Mozart. Qualora la sezione non sia presente, si parla di sonatina.
Ripresa: ritorno alla tonalità
originale e ripetizione modificata dell'esposizione: la modifica
consiste essenzialmente nel fatto che anche il secondo tema passa alla
tonalità di impianto, riducendo così la tensione che ha dato origine
alla dinamica della composizione e dando a quest'ultima il senso
compiuto di una vicenda, e quasi di una narrazione (beninteso: puramente
musicale). Rispetto ai lavori di Mozart e Beethoven, durante la ripresa
Haydn invertiva spesso l'ordine dei due temi, ometteva alcuni passaggi
dell'esposizione, e introduceva la
Coda: eventuale sezione aggiuntiva dopo la chiusura della ricapitolazione, con piccoli sviluppi tematici.
La struttura al tempo stesso rigida e vivace della sonata di Haydn ha
influenzato moltissimo le opere di Beethoven: quest'ultimo, con la
maturità, passò infatti da uno stile piuttosto discorsivo e disorganico
nell'esposizione dei temi, alla rinnovata cura per la forma, con l'uso
di temi più brevi e flessibili.
Molta della musica di Haydn è stata scritta per allietare un principe
e la sua corte, e il suo tono è di conseguenza tendenzialmente
spensierato; questa inclinazione rifletteva probabilmente la personalità
equilibrata e allegra del compositore. Le opere in modo minore, spesso
estremamente serie e profonde, costituiscono delle fortissime eccezioni
alla regola. I movimenti veloci delle opere di Haydn sono travolgenti,
specialmente nei finali: alcuni esempi si trovano nella sinfonia n. 104 (London),
nel quartetto op. 50 n. 1, e nel trio con pianoforte Hob XV: 27. Con
l'arrivare della maturità, i movimenti lenti delle opere di Haydn
acquistarono sempre maggiore profondità e complessità, come si può
apprezzare per es. nei quartetti op. 76 n. 3 e 5, nella sinfonia n. 102,
e nel trio con pianoforte Hob XV: 23. I minuetti, fortemente ritmati, mantennero sempre un carattere gioviale e popolaresco.
Evoluzione dello stile
Uno sguardo d'insieme sui quasi cinquant'anni di produzione haydniana
mostra un graduale e costante aumento di complessità nella forma e nel
linguaggio musicale.
Le opere giovanili di Haydn risalgono ad un periodo di grandi cambiamenti, in cui lo stile compositivo del barocco, rappresentato da Johann Sebastian Bach e da Haendel, era ormai al tramonto. Come è stato già ricordato, tra gli autori di riferimento nella sua formazione ci fu Carl Philipp Emanuel Bach, il più geniale ed innovativo tra i figli di Johann Sebastian.
Questa collocazione storica fa di Haydn uno dei grandi esploratori della musica del suo tempo.
Nel gruppo delle prime sinfonie, di ispirazione almeno in parte
tardobarocca, merita una menzione il ciclo delle nn. 6, 7 e 8, dal
carattere moderatamente descrittivo, ispirate alle parti della giornata
(i titoli francesi sono Le Matin, Le Midi e Le Soir). Composte probabilmente nel 1761,
sono ricche di momenti concertanti (interventi solistici), di
un'accentuata ricerca timbrica e di una grande varietà di situazioni
musicali (notevoli per esempio il recitativo ed il duetto strumentali,
su modello operistico, nel tempo lento della n. 7).
Tra il 1767
e i primi anni del decennio successivo, Haydn inserì nelle sue opere
elementi di maggiore intensità espressiva, soprattutto nei lavori in
modo minore: anche se alcuni critici negano la possibile influenza del
movimento letterario tedesco, questa fase è stata denominata dello Sturm und Drang.
Alcune opere rilevanti di questo periodo sono le seguenti sinfonie:
n. 39 in sol minore, spesso ricordata come modello della "piccola" sinfonia in sol minore (K183) di Mozart,
n. 44 in mi minore (nota col titolo, apocrifo e abbondantemente esagerato, di "Trauer", ossia "luttuosa" o "funebre")
n. 45 in fa diesis minore (nota come la "Sinfonia degli Addii"),
n. 49 in fa minore ("La Passione")
E inoltre la sonata per pianoforte in do minore n. 30 Hob. XVI/20, e i sei quartetti per archi op. 20, risalenti al 1772. Nello stesso periodo, il suo interesse verso il contrappunto andò crescendo, con la scrittura delle fughe che chiudono tre dei quartetti op. 20.
Il crescendo espressivo dello Sturm und Drang fu seguito da un
ritorno ad un umore più sereno e giocoso. Nel periodo successivo, Haydn
non scrisse nessun quartetto per archi, mentre le sinfonie assunsero
nuove caratteristiche: l'inserimento di un'introduzione lenta, e la
comparsa di timpani e trombe
nelle partiture. Questi cambiamenti riflettevano un cambiamento
radicale negli impegni professionali del musicista, che si allontanava
dalla "musica pura" per avvicinarsi all'opera buffa. Diverse di queste opere (oggi rappresentate assai di rado) contengono delle ouverture che vennero riciclate come movimenti di sinfonia durante tutti gli anni 1770 e che aiutarono Haydn a mantenere una vasta produzione sinfonica in quel decennio di febbrile attività.
Nel 1779,
una modifica importante al contratto di Haydn gli diede la possibilità
di pubblicare le sue composizioni senza ricevere l'autorizzazione del
suo mecenate. Questa circostanza può avere accelerato il ritorno di
Haydn verso la "musica pura": il punto di svolta può essere individuato
nella pubblicazione dei sei quartetti per archi op. 33, che nella parole
di Haydn erano scritti "in un modo completamente nuovo e speciale". Charles Rosen
asserisce che ciò che Haydn dice è assolutamente vero. Egli sottolinea i
progressi di Haydn nella tecnica di composizione che appaiono in questi
quartetti, progressi che segnano l'avvento, in pieno fulgore, dello
stile musicale del periodo classico. Questo stile include vari aspetti:
una forma di fraseggio fluida, in cui ogni motivo emerge dal precedente
senza interruzione; la pratica di lasciare che il materiale di
accompagnamento si evolva in materiale melodico ed un certo "Contrappunto
classico", in cui ogni parte strumentale mantiene la sua integrità.
Questi aspetti li ritroviamo in molti quartetti che Haydn scrisse dopo
l'opera 33.
Nel 1790, stimolato dai frequenti viaggi in Inghilterra,
Haydn sviluppò ciò che Rosen chiama lo "stile popolare", un tipo di
composizione che, con un successo senza precedenti, creava musica con un
grande richiamo popolare mantenendo nel contempo una colta e rigorosa
struttura musicale. Un elemento importante dello stile popolare era
l'uso frequente di materiali folcloristici. Haydn si prese cura di usare
questo stile in momenti musicali appropriati, come i finali delle
sonate o l'apertura del tema finale. Collocato in questi punti, il
materiale folclorico serve come elemento stabilizzatore, aiutando a
fissare una struttura più complessa. Lo stile popolare di Haydn si può
sentire praticamente in tutto il suo lavoro degli ultimi anni, comprese
le dodici Sinfonie di Londra, gli ultimi quartetti, i trii per piano e gli ultimi due oratori.
Il ritorno a Vienna nel 1795
segnò l'ultima svolta nella carriera di Haydn. Anche se il suo stile
musicale era di poco cambiato, lo erano invece le sue intenzioni. Mentre
era a servizio di qualche aristocratico, o quando era un indaffarato
imprenditore, Haydn scriveva velocemente e copiosamente le sue
composizioni dovendo rispettare le frequenti scadenze. Da uomo ricco, il
compositore godeva del privilegio di prendere tempo e scrivere per i
posteri. Questo atteggiamento si riflette nel soggetto de La Creazione (1798) e Le stagioni (1801),
che contengono temi importanti quali il significato della vita e
dell'umanità e rappresentano un tentativo di rappresentare il sublime in
musica. Le nuove intenzioni di Haydn si riflettevano anche nel fatto
che impiegava molto più tempo a scrivere le sue opere: entrambi gli
oratori furono composti in più di un anno. Haydn affermò di aver
impiegato così tanto a scrivere La Creazione perché voleva farne un'opera che durasse nel tempo.